L’editoriale / Aliberti esca allo scoperto: una squadra di calcio è affare pubblico. La parabola calcistica è metafora di una Campobasso che sta morendo
GIUSEPPE FORMATO
Aliberti dica cosa voglia fare. È questo, ormai, il pensiero comune di chi ancora, a Campobasso, ha un barlume di passione per il calcio.
Arrivato tra l’entusiasmo generale, offuscando, in parte, anche gli sforzi della rinascita, assicurati dall’ex sponsor-patron Edoardo Falcione, che nel 2013 con l’attuale presidente Perrucci rilevò il titolo in Eccellenza del Campobasso 1919.
La chiarezza non è mai stata una caratteristica dell’ex presidente della Salernitana dei fasti della serie A, periodo che vide l’imprenditore campano arrivare sino alla presidenza della Lega Calcio.
Dalla bufala ripescaggio, all’allestimento di una squadra che avrebbe dovuto disputare un campionato di transizione, passando per le troppe sconfitte a suon di reti al passivo, all’indebolimento dell’organico di dicembre, finendo con un inspiegabile silenzio stampa che dura da oltre un mese.
Un silenzio che ha finito per allontanare la squadra dai tifosi, anche i più incalliti, e dalla città.
Sono rimasti in pochi, i nostalgici, che riescono ancora a seguire le vicende di un Lupo, diventato tutto d’un tratto un agnellino sacrificale.
Il Campobasso ha subito cinque gol dal Romagna Centro, su un campo da torneo di Promozione, contro una delle squadre più giovani del girone F di serie D.
L’unica spiegazione di tutto ciò è provare a salvare il salvabile, ovvero società e categoria, in vista della prossima stagione. Parlare oggi di prossimo campionato, però, è qualcosa di troppo futuristico. Lontano anni luce.
La classifica langue e con queste prestazioni, prive di gioco, idee e carattere, è difficile prevedere una salvezza tranquilla.
La fortuna di Aliberti, paradossalmente, è il mancato interesse della città verso la sua squadra di calcio.
Appena un lustro fa, l’ex patron Ferruccio Capone per molto meno fu vessato dall’intera città, nonostante un triennio, anche discreto dal punto di vista agonistico, di professionismo.
Basti ricordare l’annata in Lega Pro del compianto allenatore Cosco, quando ci fu un fuggi fuggi generale della dirigenza, la cosiddetta ‘componente campobassana’, con la squadra rossoblù lasciata allo sbando, caldeggiata solo dall’affetto dei tifosi.
Il disinteresse generale, scaturito dalle continue delusioni, rappresenta il miglior toccasana per l’attuale società, che può indisturbatamente farsi imporre il bavaglio, senza troppi problemi, direttamente da Salerno, dall’asse Aliberti-Marino. E sì perché, non dimentichiamo, che per un papà importante c’è sempre un posto per un figlio. Nulla di male, però, se magari si sfruttassero le amicizie del più celebre della famiglia, per convincere qualche discreto giocatore a difendere la causa per la quale si è stati investiti.
È vero che la squadra di calcio serve ai mass media, ma è altrettanto vero che la stampa è sempre stata indispensabile per le fortune di un club. Anzi, diciamola tutta, serve più il giornalismo alla società di calcio e non viceversa. A prescindere dalle dichiarazioni di qualche presidente o allenatore più spavaldo.
Un equilibrio, comunque, da non rompere. Mai. A maggior ragione, nella società odierna fondata sulla comunicazione e l’immagine.
Insomma, con una classifica deficitaria, in assenza di risultati e di dichiarazioni ufficiali, in mancanza di chiarezza verso la piazza, il grigiore degli spalti del ‘Nuovo Romagnoli’ continuerà a regnare sul rossoblù, tra il disinteresse generale di una città, il capoluogo molisano, sempre più privo di attrattive per chi decide, coraggiosamente, di restare a vivere in quella che fu la ‘Città Giardino’ sotto tutti i punti di vista: economico, politico, sociale e sportivo.
Oggigiorno, nel 2017, di quel giardino altro non è rimasto che un rovo di spine. Che pungono, fanno male, rendendo vetusta e piena di rughe la pur bella e caratteristica città di Campobasso.