La storia di Silvio Stritzel: da Trieste per allenare il Campobasso e il Ripalimosani negli anni ’30
ALESSANDRO LANCELLOTTI
Silvio Stritzel nasce a Trieste, allora parte dell’Impero Austro-Ungarico il 22 dicembre 1893 (il 12 Dicembre secondo l’agenda Barlassina 193-35) da una famiglia di origine tedesca, figlio di Matteo Strizel e dalla sua terza moglie Maria Kolenc.
Già da ragazzo manifestava un’avversione verso l’impero asburgico e nel 1910 a soli diciassette anni fuggì dalla città natale per non prestare il servizio militare in Austria (il padre Matteo per questo perdette la pensione).
Il destino lo portò in Inghilterra, precisamente a Londra, dove cominciò a giocare a football come center-half nel Tottenham Hotspur , ma in seguito a un grave infortunio dovette rinunziare al ruolo, che imponeva corse faticose su e giù, per passare, una volta rientrato in Patria, al ruolo di portiere.
In Italia arrivò nel campionato 1912-13, dopo essere passato per Francia, Svizzera e Ungheria. Per due stagioni difese la porta del Venezia in Prima Categoria, fra i pali si distinse per le continue prodezze e fu, in pectore, l’estremo difensore della Nazionale di Calcio Italiana.
Il 15 dicembre, infatti, rispose alla convocazione a Milano del commissario tecnico Umberto Meazza, per il terzo allenamento degli azzurri, in vista dell’incontro con l’Austria da giocarsi a Genova la domenica successiva. Sul campo gli fu assegnato il maglione nero di numero uno della rappresentativa degli stranieri, che fece da sparring partner all’undici con lo scudo sabaudo sul petto. Davanti a lui, quel pomeriggio si disimpegnarono Bachmann, Aebi e Rizzi, tra i più famosi e titolati.
Alla fine del match Meazza optò per i due goalkeeper milanesi, Campelli e De Simoni, e a lui restò la soddisfazione di essere considerato, senza ombra di dubbio, il miglior portiere visto in terra veneta fino a quel momento.
Alto quasi due metri (toccava la traversa senza nemmeno alzarsi sulle punte), snello, astuto, dotato di un colpo d’occhio e di un intuito meravigliosi, il pubblico lo guardava ammirato ogni qualvolta che con impercettibili spostamenti, sistemava meglio i piedi grandi come quelli delle sfingi egizie per impegnarsi in voli da un palo all’altro, parando, grazie a quelle sue Ciclopiche mani, palloni che sembravano ormai in rete.
Nel 1914, in un incontro con l’Hellas Verona, subì un tremendo calcione dal centrattacco avversario Bianchi, che gli procurò la frattura della tibia sinistra, costringendolo a stare per lungo tempo assente dalle competizioni. Dopo il grave incidente non ritornò più nelle primitive condizioni di efficienza. Rientrato a Trieste riprese a giocare solamente nel dopoguerra.
Finito il primo conflitto mondiale, in una Trieste appena diventata italiana, fu insieme ad altri fondatore dell’Unione Sportiva Triestina.
Dal 1919 al 1920 rimase nella città giuliana, dove difese i colori della Fulgor Trieste, già a ottobre del 1920 arrivò alla Novese, dove nel 1922 la squadra conquistò il titolo nazionale.
Era giunto a Novi Ligure nell’autunno di due anni primi, segnalato probabilmente dal terzino della nazionale il palermitano Grippi e dal segretario Natale Beretta, che svolsero il servizio militare a Trieste.
Il primo campionato in terra piemontese passò via tranquillamente, con buone prestazioni sia in campionato che in Coppa Piemonte, ma fu nel campionato 1921-22 che arrivò la soddisfazione più grande, perché la Novese si consacrò per la prima volta Campione d’Italia.
Questa la formazione tipo della Novese: Strizel, Grippi, Bonato, Vercelli, Bertucci, Toselli, Gambarotta, Nero, Cevenini III, Santamaria, Parodi.
Dopo la fortunata esperienza a Novi Ligure, Strizel fece ritorno nella sua Trieste, prima alla Triestina poi dal 1922 al 1925 difese i pali di un’altra formazione di Trieste, l’Edera Trieste in terza divisione, per poi chiudere la carriera nella stagione 1925/26 nell’Olympia di Fiume, scendendo in campo solo una volta nella partita vinta per 2-1 a Monfalcone.
Finita la carriera di calciatore nel 1928 cominciò la carriera di allenatore alla Vigor Ascoli. Poi fu alla Salernitana al posto di Kertesz, ma resistette in panchina soltanto tre giornate, quindi tornò nelle Marche per due stagioni, portandosi dietro il portiere Perini, prelevato dai liberi della Robur di Trieste e l’istriano Kazianka. Per restare nelle Marche, aveva rifiutato nel 1931 una proposta degli svizzeri del Basilea, Era un trainer, di quelli che sarebbero stati necessari a qualche società nella quale si batteva la fiacca; nella compagine bianconera dove, per la fiducia che i dirigenti ebbero per lui, gli venne data carta bianca per quanto riguarda la disciplina, s’impose subito per un gesto d’energia.
lnfatti due dei migliori giocatori, Rossi e Lucini, furono immediatamente licenziati e rimandati a casa, perché la loro vita era in aperto contrasto quella dell’essere atleti.
Finita l’esperienza in terra marchigiana nel novembre del 1931 fu ingaggiato dal Campobasso, assumendo la guida di un club autogestito e capitanato dall’Istriano Guglielmo (Memo) Chincich, della quale compagine facevano parte gli altri Istriani Fonovich, Terdoslavich e il portiere Orlando Sain, che dopo Campobasso e Aquila militò con successo nell’Ambrosiana Inter.
Subito si mise al lavoro, tanto è vero che nella prima riunione, ai giovani footballer convenuti disse che aveva bisogno di tempo per collaudare elementi abili a formare la nuova squadra.
A distanza di qualche mese costituì una formazione in gran che come riportano i giornali dell’epoca non giocava per il mensile ma per il campanile .
Un’enorme folla al “Romagnoli” seguì sempre le imprese dei rossoblu in Seconda Divisione.
La squadra lottò sino alla fine per la vittoria finale,ottenendo anche qualche risultato clamoroso (7-0 alla Nocerina), ma scivolando nelle due ultime gare esterne, perse con la Torrese (3-2) e Savoia B (3-1) non senza recriminazioni ambientali ed arbitrali, vide sfumare il sogno della Prima Divisione.
Fu confermato anche per la stagione seguente quella dove il Campobasso non prese parte ad alcun campionato per motivi economici, limitandosi a disputare qualche amichevole di prestigio.
Nell’Aprile 1933 s’iscrisse al corso di allenatori indetto dalla Federazione, e dopo aver conseguito il diploma guidò la matricola Seregno appena promossa nel campionato di serie B, quindi nell’agosto 1934 firmò sempre per il Foggia in serie B, l’esperienza con i satanelli però duro poco solo quattro giornate infatti dopo due sonore sconfitte con Catanzaro e Bari Strizel fu sollevato dall’incarico, e dopo un mese tornò a Campobasso stavolta in Prima Divisione sostituendo il tecnico romano Cicchetti. Le cose, però, non migliorarono e la squadra retrocesse nella serie inferiore.
A campionato terminato rimase in Molise precisamente a Ripalimosani, dove chiamato da Antonio Tanno prese ad allenare la squadra locale nel campionato dei Liberi.
Finita l’esperienza in Molise passò ad allenare il Monza, ma il 26 Novembre 1936 lasciò anche i brianzoli probabilmente per assumere la direzione di una delle squadre dei gruppi sportivi aziendali. Dopo aver trovato impiego a Milano di lui si persero le tracce.
Silvio Stritzel morì a Villa d’Adda, in provincia di Bergamo, il 24 gennaio 1970 all’eta di 70 anni, di lui rimarrà il ricordo di un pioniere del calcio Italiano che con la sua bravura portò il gioco del foot-ball in tutta la penisola da Nord a Sud e di lui rimarrà il ricordo delle foto in bianco e nero che lo vedono fiero in campo.