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Psicologia Live / Dire ‘no’ aiuta i bambini a crescere

Il clima di incertezze dovuto ai rapidi cambiamenti storici e sociali influisce in modo estremamente negativo anche sul ruolo dei genitori chiamati a guidare le nuove generazioni.

La prospettiva educativa odierna si concentra sulla cura, sull’accudimento e pone i bisogni e i desideri dei figli al centro. La famiglia è il luogo dove deve regnare l’armonia, il benessere e la felicità. Il bambino non deve né provare emozioni spiacevoli né sperimentare alcuna frustrazione.

Si assiste ad una sorta di dominio del figlio sul genitore, che si sottrae al suo ruolo educativo per paura di ferire, di generare danni allo sviluppo del proprio bambino e soprattutto per non entrare in conflitto, che rappresenta per molti la rottura del rapporto.

Dire “No” rappresenta quasi un tabù per i genitori di oggi mentre invece la negazione rappresenta una funzione regolativa fondamentale per la crescita del bambino.

I  “no” assumono  un valore diverso a seconda dello stadio evolutivo dei nostri figli.

Nella prima infanzia, momento in cui i bambini iniziano ad esplorare il mondo, il “no” è quello del divieto. I genitori attraverso i propri no consentono al bambino di costruirsi una sorta di segnaletica di base entro cui imparare a muoversi senza farsi male.

Dire no è protettivo. Nello specifico intorno ai 2 anni, il bambino inizia egli stesso ad utilizzare il no ed è proprio questo il momento in cui è più semplice che colga il senso del divieto e che lo usi per costruire la propria piccola autonomia, in questa fase in cui si allontana e si riavvicina continuamente alle figure significative alla ricerca di sicurezza.

Sono necessari pochi no detti in modo chiaro, sicuro e semplice, non occorrono particolari spiegazioni in quanto incomprensibili per i più piccoli. È necessario che questi pochi no siano rispettati dai bambini. In particolare i genitori devono avere ancora più attenzione verso quei “no” strutturanti a livello evolutivo come, ad esempio, il no netto e chiaro che i genitori devono dire ai propri figli quando la sera chiedono di dormire nel lettone: il no in questo caso favorisce un distacco sano del bambino dalla madre. In questo stadio inizieranno inevitabilmente i primi conflitti che generano nel genitore le prime ansie e senso di colpa per il mancato soddisfacimento del bisogno imminente da parte del bambino.

È importante ricordare che il conflitto, che ha assunto nella nostra società connotazione negativa, rappresenta un momento importante in cui si favorisce l’uscita da una dinamica fusionale: riconoscere nel proprio figlio una alterità favorisce un distacco progressivo dal genitore utile a far sì che il bambino inizi a sentirsi libero di sviluppare una propria autonomia.

Tra la prima infanzia e la seconda, i bambini iniziano a confrontarsi con una realtà diversa da quella famigliare in quanto entra in contatto con i pari e con la realtà scolastica, e in questo caso i “no”sono quelli del limite. La negazione ha il compito di contenere  la sensazione di onnipotenza tipica dello stadio evolutivo in cui si trova il bambino in questa fascia d’età. Le regole date continuano ad essere poche e chiare ma le spiegazioni diventano importanti e devono essere adatte all’età. Il livello della frustrazione dei propri bisogni e desideri percepito dai bambini aumenta rispetto alla precedente fase evolutiva. Per gestire la frustrazione il bambino è costretto ad attivare nuove competenze,  e si stimola così, nel superamento di questo stadio, l’accrescimento del senso di autostima ed autoefficacia fondamentali per il proprio futuro.

Nella seconda infanzia e preadolescenza il no è quello della regola in senso stretto. Contrariamente a quanto si crede la regola non costituisce un freno alla propria libertà personale. I genitori in questa fase sono chiamati ad indicare quali sono gli ambiti entro i quali i figli possono esprimersi esplicitando cosa è bene non fare nella società.

Nell’adolescenza il no rappresenta, invece, la resistenza. È una negazione che si manifesta  attraverso una conflittualità e consente ai ragazzi di costruire il proprio modo di essere nel mondo, un proprio orizzonte di valori. È un no complesso derivante da una vera e propria negoziazione fra il genitore e il ragazzo non più bambino che spinge per avere sempre più libertà. Sta al genitore attraverso le sue parole insegnare che la propria libertà finisce dove inizia quella altrui e questo succede non solo attraverso un no monosillabico, imposto e calato dall’alto “si fa come dico io finchè vivi sotto il mio tetto” ma attraverso il proprio esempio di comportamento e attraverso un continuo dialogo sincero in cui il figlio e il genitore si ascoltano reciprocamente nei propri bisogni e desideri.

Certo riuscire a ponderare il “no” corretto nelle diverse fasi evolutive non è semplice per un genitore che spesso è lasciato solo nel suo ruolo educativo. Si oscilla nel dire troppi sì o troppi no passando rispettivamente da uno stile iperprotettivo-apprensivo ad uno stile notevolmente autoritario. È importante che i genitori riflettano e scelgano una cornice educativa entro cui scegliere i “no” da dire al proprio figlio senza oscillare e tenendola presente sempre. Lo stile autorevole sembra essere il più corretto per una crescita armonica e per il benessere psicologico dell’individuo. Il genitore nelle sue scelte educative mostra sempre al figlio, lungo l’arco della sua vita,  fiducia in lui, nelle sue capacità e nelle sue potenzialità e il ruolo genitoriale sta proprio nel sostenere il figlio a sviluppare le proprie risorse personali. Il genitore autorevole rispetta e si fa rispettare, sapendo essere al contempo flessibile nella gestione del “no”. Una situazione esemplificativa è quando il bambino chiede di vedere la televisione mentre è necessario uscire di casa. Il genitore a quel punto avendo ben chiaro il bisogno di uscire tiene comunque conto del desiderio del bambino e lo rimanda in modo empatico dicendo “so che in questo momento vorresti rimanere a casa per guardare la tv, ma adesso è veramente il momento di andare”.  Ci vuole tanta pazienza e calma per riuscire a rispondere sempre in modo adeguato al proprio figlio ma questo consentirà che questi da adulto sappia tollerare le frustrazioni nelle diverse occasioni che la vita dà, sappia sentirsi sicuro e capace di trovare soluzioni alternative nei vari ostacoli che incontrerà e soprattutto sia in grado di rispettare sé stesso e l’altro perché questo insegna la regola.

Dott.ssa Chiara Cantarini –  Psicologa Psicoterapeuta

 

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Redazione

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