‘Impara l’arte’ presenta Barbara Petti: il teatro dentro
SERGIO MARCHETTA
C’era una volta un belvedere affacciato su un panorama estivo di verde e azzurro. Ogni panorama in realtà resta solo un incastro di luci e colori fino a quando non arriva un paio d’occhi a guardarlo e a dargli il senso che merita. Più o meno come succede in teatro: le luci sono solo bagliori e le scenografie appaiono solo impalcature sospese; poi l’attore attraversa la scena e ogni cosa prende vita come in un prodigio. A modellare i riflessi su questo palco naturale e a dare voce a questi soffi di fine luglio è arrivata Barbara Petti: donna e attrice. La panchina sulla quale stiamo per iniziare la nostra chiacchierata ha i toni del sud alle spalle e la brezza del Teatro del Loto che spira di fronte.
Barbara, per te essere attrice rappresenta una passione, un lavoro o un’arte? “E’ innanzitutto una passione, nel senso che è arrivata in maniera viscerale quando avevo sedici anni. Regalai un’emozione a qualcuno leggendo alcune cose ed emozionandomi io stessa. Compresi così che un fuoco si alimentava dentro me, qualcosa di ancora indefinito ma potente. Questo “moto interiore” l’ho poi coltivato e sperimentato facendo teatro e pian piano la passione iniziale è diventata una consapevolezza: quella di fare arte. Oggi per me quell’intuizione si è confermata un lavoro. Frequentando il Centro Sperimentale di Cinema di Roma ho provato davvero il sangue e l’anima del “fare teatro” ma anche le prime occasioni importanti di mettermi alla prova attivamente. Così adesso per me essere attrice rappresenta passione, arte, lavoro”.
Il teatro è passione anche nel senso etimologico di “patire” nel farlo? “Sì. Ci sono diversi livelli di patimento. Da un lato c’è la passione di Barbara “persona” che ha la necessità di recitare e dall’altro c’è la passione del personaggio con tutti i suoi sentimenti. E questo patimento talvolta oltre ad essere sentimentale è anche fisico perchè richiede tanto esercizio, allenamento, energie. Ma deve esserci perchè è bello!”
Quando da persona diventi personaggio quanto trascini di te stessa nella figura che interpreti? “Il mio sforzo è quello di elevarmi da persona a personaggio anche se inevitabilmente porto con me delle esperienze, un mio modo di fare, di camminare, di parlare, di reagire. La cosa importante e stupenda è scoprire qualcosa di nuovo interpretando un ruolo, imparando ogni volta di più. Capita quindi di trasferire la tua esperienza, il tuo vissuto nel testo in cui ti cali ma al tempo stesso scopri la novità e la meraviglia elevandoti a personaggio”.
In questo percorso di elevazione quanto è importante conservare l’equilibrio tra la tecnica e la passione? “La tecnica resta fondamentale perché rappresenta la base che ti consente di non crollare. Se si ha padronanza della dizione e dei movimenti del proprio corpo si può spaziare tanto: questi sono strumenti che non ti fanno sentire mai perso. E’ meglio avere dei limiti perché all’interno dei limiti c’è una grande libertà; la tecnica è uno dei paletti che ti permettono di sperimentare, di esagerare, di sentirti al sicuro. Poi quando si va in scena bisogna dimenticarla ma avendola sempre in tasca”.
Per te il successo è una possibilità, uno stimolo o un rischio? “Sicuramente uno stimolo per fare meglio. Il successo non mi interessa tanto come riconoscimento pubblico assoluto quanto come traguardo personale. Per me il successo significa mettermi in gioco sempre di più”.
Ti senti più a tuo agio in teatro o davanti a una macchina da presa? “In teatro. Sono due esperienze totalmente diverse. Il teatro è stata la mia prima casa, lì ho imparato le regole e i silenzi. Nel cinema è tutto più meccanico, una novità fatta di ingranaggi e segmenti; mentre il teatro per me è un respiro circolare. Sguazzo meglio in teatro, ci galleggio meglio!”
In questo “galleggiare” il pubblico cosa rappresenta per te? “E’ difficile questa domanda però ti rispondo: quando vado in scena c’è quella voglia di incontrare il pubblico, di dire : ecco, ci siete, respiriamo insieme, teniamoci per mano, emozionatevi con me, prendetevi anche il diritto di criticarmi! Il pubblico si sente, ne avverti il respiro, ti accorgi quando è con te e quando si allontana; così come il pubblico percepisce l’attore vicino o distante. Si tratta di un passo a due: il pubblico è il mio compagno di ballo mentre recito: non è lì per salvarmi. Ma ci salviamo insieme. O affondiamo insieme!”
Quanto è importante la voce per un’attrice? Più della mimica? “Se devo associare la voce alla recitazione essa passa in secondo piano perché è il corpo che parla, sono le azioni che esprimono. Anche nel testo una battuta è azione; non è mai soltanto parola. Quindi la parola si appoggia sul corpo e la voce rappresenta una sorta di arrangiamento al complesso di quello che si sta facendo sul palco così come si arrangia una melodia”.
Ecco, scusate se mi intrometto come un sipario chiuso tra il primo e il secondo atto ma il dovere di cronaca mi porta a fare presente che questa intervista sarebbe terminata qui. Infatti come il personaggio meno gradito sulla scena a questo punto la pioggia ci ha sferzato le teste. Ma è stata una manciata di secondi, il tempo di un cambio di scena. Si riprende.
Quanto sogni? “Tanto! E quando non lo faccio imbruttisco e vivo male le giornate. Il sogno mi è necessario per creare e per riconnettermi con la realtà.”
Quanto leggi invece? “Ho sempre un libro in borsa, la parola del libro mi ha salvato da certe situazioni, ha sottolineato alcuni sentimenti che provavo, ha delineato delle persone, ha chiarito delle giornate. La lettura è un’amica fondamentale”.
Quanto sei legata al Molise? “Molto! Io sono andata via dal Molise perché ne avevo il bisogno ma è una terra che mi ha dato tanto: dal Teatro del Loto dove ho mosso i primi passi, ai paesaggi, ai colori… Amo questo posto ma non comprendo perché ci siano così scarse opportunità, così pochi investimenti e questo è faticoso, stanca”.
Per un’attrice cosa rappresentano la competizione, la rivalità, la gelosia? “La sana competizione ci deve essere in quanto ti induce a migliorare e a crescere. La rivalità invece ti rende un “rosicone” come si direbbe a Roma. Se io rosico non mi concentro su di me bensì sull’altro per cui non faccio bene nulla, non mi libero, non mi esprimo. La gelosia se è troppa rovina tutto, come in amore; va canalizzata”.
Quando non sei attivamente impegnata a teatro come impieghi il tuo tempo? “Penso, immagino, sogno. Talvolta mi isolo. Ogni tanto vado a correre. E sto imparando a suonare la chitarra. E poi è necessario allenarmi, leggere, approfondire i personaggi”.
Se un quindicenne ti si avvicina e ti dice: “voglio fare l’attore” tu lo incoraggi o lo inviti a desistere? “Innanzitutto lo porto a teatro con me: sarebbe un buon inizio per comprendere se vuole “fare” l’attore o “essere” un attore”.
“Ci pensavo e pensavo a come sarebbe stata la mia vita da lì in poi. Diversa. Migliore o peggiore, chissà, ma certo, diversa.” A cosa ti riporta questa frase? “Questo è un testo di Massimiliano Ferrante che ho interpretato non molto tempo fa. E’ una frase che mi ricorda quanto sia importante mettersi in discussione momento dopo momento lasciandosi sempre una possibilità per essere diversi. Recito anche per questo: per avere la spinta verso nuove possibilità, per essere diversa”.
A cosa stai lavorando in questo periodo? “Trascorrerò agosto sul divano rosso che ha comprato la mamma. E intanto lavoro a “Piero della Francesca: il punto e la luce”, uno spettacolo con cui gireremo l’Italia con una data anche in Molise magari.”
Ci anticipi una battuta da questo spettacolo?””La gente da noi è abituata a vedere sempre le stesse cose; si spaventano e pensano cattiverie quando gliene proponi di nuove”. Questa frase rappresenta tutta la paura del nuovo che spesso non consente di apprezzare a fondo l’arte e la vita”.
Che differenza c’è tra una brava attrice e un’attrice di successo? “Possono essere la stessa cosa. E non possono essere la stessa cosa. A volte il commercio impone il compromesso. In fondo tutti scendiamo a piccoli compromessi ogni giorno; anche a me capita ma a patto di non perdere la dignità e di non far spegnere il fuoco dell’arte”.
L’arte è bellezza. Ma quanto conta la bellezza per fare teatro? “Io sono dell’idea che una cosa vera è necessariamente bella. Un’attrice non particolarmente bella esteticamente può affascinare profondamente se è vera mentre recita! La verità è sempre bella. Bisogna raggiungerla e non è facile perché si pensa molto all’apparire”.
Cosa ti auguri per il futuro in quanto donna e in quanto attrice? “Poter salire sempre su un palcoscenico, conquistare qualche riconoscimento, collaborare con qualche regista di rilievo come Sorrentino e soprattutto saper meravigliarmi! Sempre!”
C’era una volta un belvedere affacciato su un panorama estivo profumato di pioggia. Ogni belvedere in realtà resta solo un belvedere fino a quando non arriva una donna di nome Barbara, con il suo sguardo mite ma ambizioso, con la sua voce densa e fluida, con il suo piglio delicato ma passionale. Ed è così, attraverso le emozioni e il racconto di una giovane attrice che sceglie ogni giorno di essere una, nessuna e centomila pur rimanendo profondamente se stessa, che un semplice belvedere diventa un autentico, piacevolissimo “belsentire”! Grazie Barbara!