L’editoriale / Regione, maggioranza a pezzi. In mano a Toma e Iorio il destino del ritorno a casa. Ma chi è disposto a perdere fino al 2023 oltre mezzo milione di euro?
GIUSEPPE FORMATO e FABIANA ABBAZIA
È un botta e risposta che arriva al suono di una mitraglietta. In un sabato di fine luglio i commenti per le nomine in alcuni enti regionali sembrano infiniti. Al pari delle polemiche che si alzano come fuoco su cui si è soffiato troppo forte. A farlo, però, è la stessa maggioranza di centrodestra.
Sono trascorsi quindici mesi di legislatura. Un anno e poco più per mettere in mostra tutte le crepe di una coalizione in crisi. Una maggioranza che ha imbarcato, nel marzo 2018, anche diversi esponenti provenienti da quel centrosinistra che, cinque anni più in là, dalla parte opposta, aveva fatto la stessa campagna acquisti.
L’unico obiettivo in tempo di campagna elettorale è stato sempre e solo vincere le elezioni e scongiurare quel rischio subito, invece, alle scorse politiche. L’avanzata del Movimento 5 Stelle anche a Palazzo D’Aimmo. Obiettivo riuscito. Anche questa volta, quando la luna di miele è stata troppo breve.
Giusto il tempo di gioire per aver raggiunto l’obiettivo di governare, di acquisire lo status di presidente della Giunta regionale, di assessore e consigliere regionale. Con tutti i benefit seguenti. Stipendio e rimborsi spese compresi, che si aggirano tra gli 11.500 e i 13.000 euro. Lordi, sia chiaro. Ma, pur sempre, una cifra imponente, anche alla luce dell’alto tasso di disoccupazione e dell’emigrazione dei giovani, per i quali in Molise non c’è posto.
Con il passare del tempo, però, le crepe sono emerse, mostrando tutta la fragilità di un contenitore che ha voluto ricomprendere troppe anime differenti. Ad acuire il tutto ci sono state poi le troppe poche poltrone da occupare rispetto alla pletora di seguaci degli eletti e delle promesse da mantenere. E, così, il vaso di pandora ha iniziato a sgretolarsi. Pezzo per pezzo.
Spaccature più profonde anche alla luce della dura sconfitta subita alle ultime elezioni al Comune di Campobasso, quando l’assessore dimissionario (ma in carica), Luigi Mazzuto, pretese la scelta del leader della coalizione, consegnando al Movimento 5 Stelle una vittoria in scioltezza.
Oggi, più di qualcuno sembra avanzare la proposta di nuove elezioni. Parole vuote per molti. Non solo per la maggioranza. Quando il rischio di tornare a casa si fa davvero concreto anche le minoranze sembrano, infatti, soprassedere.
Ad oggi, però, un’unica persona sembra detentore di un potere che gli elettori gli hanno attribuito. Alle decisioni di un’unica persona sembra, infatti, legato il destino di tutti: il presidente Donato Toma.
Quando la minaccia di tornare tutti a casa arriva dal governatore, tutti si mettono in riga, come sembra sia accaduto in occasione del voto della sfiducia all’assessore Mazzuto.
Toma è il depositario di un destino che non sembra affatto scontato.
Il Presidente della Giunta regionale del Molise, potere politico a parte, è uno dei pochi inquilini di Palazzo D’Aimmo a cui la vita non cambierebbe poi molto in caso di ritorno a casa. Il governatore, oltre a essere docente del ‘Pilla’ e insegnante all’Unimol, è il titolare di un avviato e consolidato studio di dottori commercialisti. Un’attività a cui la politica spesso può più togliere che dare.
Uno dei pochi casi a Palazzo D’Aimmo. Almeno per ciò che riguarda l’attuale legislatura. A parte qualche altro rarissimo esempio, la maggior parte dei consiglieri regionali subirebbe, in caso di ritorno alle urne, un danno economico non indifferente, dovendo tornare a svolgere il proprio ruolo da impiegato, per chi il lavoro ce l’aveva, a millecinquecento euro al mese.
Il danno economico in caso di ritorno al voto, per ogni consigliere regionale, sarebbe, insomma, di circa 150mila euro all’anno, da moltiplicare per 3 anni e 9 mesi.
Dover rinunciare agli emolumenti 45 mesi prima della scadenza della legislatura significherebbe perdere all’incirca 540mila euro. Senza contare le somme a disposizione per le segreterie e al potere politico che si perde sul territorio. Insomma, un danno ingente che, probabilmente, farebbe scomparire dal panorama politico regionale buona parte dell’attuale classe dirigente.
Solo per Toma, dunque, tornando alla vita di tutti i giorni, cambierebbe poco dal punto di vista economico. E, si sa, a prescindere dalle dichiarazioni di rito, nessuno ci sta a perdere oltre mezzo milione di euro. Quindi, stracci a parte che volano, davvero in pochissimi sui ventuno consiglieri regionali sarebbero disposti a tornare alla propria vita quotidiana. Lontani dalle stanze del potere.
Come ogni storia che si rispetti, c’è pur sempre un antagonista. Ed è proprio uno di quelli che in questo lungo fine settimana pure ha deciso di lanciare benzina sul fuoco. Michele Iorio, colui che ha governato la Regione Molise dal 2001 al 2013, in questo momento sembra scalpitare, forse nella consapevolezza di come questo sia il momento in cui potrà far valere ancora il proprio peso specifico nello scenario politico regionale. Ora o mai più.
Probabilmente Iorio, oggigiorno, ha la possibilità di tornare a ruggire dopo anni difficili, durante i quali è stato costretto ad ingoiare bocconi amari, pur dando alla propria continuità politica un’esperienza che in Molise ha pochi precedenti.
Per le tante emergenze del Molise i cittadini non possono più aspettare, ma soprattutto non possono vedere più quella colla invisibile che lega alle poltrone di Palazzo D’Aimmo quei 21 rappresentanti politici. E due sono le soluzioni su cui ragionare. Decidere di scioglierla quella colla di personalismi a discapito di tutti. Sganciarsi dalle poltrone del potere in nome di principi ed ideali, sempre sulla bocca di tutti e nel cuore di nessuno.
Oppure l’unica strada alternativa magari è quella di aggiungere un’altra goccia a quella colla degli emolumenti che lega tutti agli scranni. E magari dargli il nome di responsabilità politica e voglia di fare qualcosa per una terra a cui, in fondo, resta davvero poco da continuare a sognare.
Quella piccola Svizzera, invidiata da tutti, che negli ultimi anni è diventato un basso sobborgo dei più poveri Stati dell’Africa centrale.