Il testo di riforma della legge sulle aree protette licenziato dalla Commissione Ambiente della Camera è una ‘sanatoria’ di tutte le applicazioni distorte della legge 394 e rappresenta un pericoloso passo indietro da parte dello Stato nella gestione dei tesori naturali che appartengono a tutti gli italiani.
Mentre la legge 394/91 nasceva da una visione e dalla necessità di garantire un futuro ai parchi nazionali il disegno di legge licenziato oggi consegna i parchi in mano ai poteri locali, esponendoli al rischio di politiche clientelari che potrebbero portare alla subordinazione della natura a logiche di corto respiro. La governance dei parchi disegnata dal progetto di riforma non fa eccezione a questo principio. Non ci sono competenze specifiche per direttori e presidenti e soprattutto la presenza dei portatori di interesse nei consigli direttivi sposta i pesi delle decisioni.
Il WWF insieme ad altre 15 associazioni ambientaliste, tra cui tutte quelle più importanti, nelle ultime settimane, ha provato più volte, anche attraverso un documento unitario, a chiedere modifiche specifiche ai deputati della Commissione. Tra le richieste c’era quella di una governance dei Parchi che avrebbe dovuto puntare sulla valorizzazione delle competenze e sull’indipendenza dagli interessi di parte, invece che sulla necessità di gestire qualche poltrona a livello locale. Avevamo avanzato proposte specifiche sulle royalties e chiesto maggiore coraggio nell’affrontare il ridisegno delle Aree Marine Protette, con la previsione di veri e propri Parchi marini che avessero la stessa dignità di quelli terrestri. Com’è di tutta evidenza la Commissione, con un’approvazione frettolosa che non ha tenuto conto di larghissima parte delle proposte avanzate dalle associazioni, non ha accolto queste richieste e, anzi, su temi come quelli delle royalties ha segnato un pericoloso e preoccupante passo indietro.
Ora non resta che la mobilitazione per scongiurare il rischio che la “Natura Protetta d’Italia”, quel bene comune che appartiene a tutti i cittadini, continui ad essere, come prevede la Costituzione un affare di Stato e non uno strumento per dare risposte ad ‘appetiti’ locali.
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