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Il ct della nazionale azzurra di pallavolo, Fefè De Giorgi, si racconta all’Unimol

ISIDORO LA FARCIOLA

Una lezione di vita, ancora prima che di sport. Ferdinando Fefè De Giorgi, giocatore e allenatore di pallavolo pluridecorato, ha incontrato gli studenti Unimol in una Aula Magna gremita. Si è raccontato al pubblico con un’empatia che ha catturato l’attenzione di tutti. Sessantadue anni, una vita sui campi di pallavolo, da Squinzano, vicino Lecce, dove lasciò il calcio perché “portava via troppo tempo”, per abbracciare la pallavolo, dove gli allenamenti settimanali erano tre, proprio la pallavolo, con i suoi 176 centimetri (diventati subito 178 e poi 180 “per non sfigurare a detta dei dirigenti” a livello internazione).

Sempre pochi forse per uno sport di giganti. Ha ribadito più volte un concetto fondamentale: “non dare ascolto a chi parla in modo malevolmente critico nei tuoi confronti, non tener conto di quello che ti manca, ma sfrutta sempre al massimo il tuo potenziale”. Con questa disposizione psicologica e mentale ha scalato da giocatore tutte le categorie sebbene gli dicessero “che se avesse avuto cinque centimetri in più avrebbe potuto giocare nella categoria superiore a quella in cui giocava”. Così Fefè arriva fino alla nazionale (circa 300 partite disputate), mettendo al bando tutte le dicerie e profondendo sempre impegno e lavoro. Ha fatto parte della cosiddetta “generazione di fenomeni”, che negli anni ottanta e novanta con la nazionale ha vinto tutto.

E’ stato compagno di squadra e di camera nei ritiri di un altro fenomeno, Pasquale Gravina, campobassano, fratello del Sindaco di Campobasso, presente in sala, che nel suo discorso di fronte al grande coach non ha portato i saluti a braccio, perché ha confessato di essere molto emozionato. Ha concluso la carriera di giocatore a 41 anni con una partita della Nazionale, era questo il suo sogno, richiamato in virtù della sua esperienza e dell’ottimo stato fisico. Ha voluto sostenere la tesi, con un modo di esprimersi degno di sapiente docente universitario, che l’allenatore deve essere un giusto mix tra chi sa impartire nozioni tecniche fondamentali e al contempo articolare strategie psicologiche per la gestione del gruppo, fattore questo fondamentale per il raggiungimento di risultati importanti. Ha dichiarato di essere arrivato forse un po’ troppo tardi ad essere coach della Nazionale, chiudendo il magico cerchio della sua carriera.

Contro lo scetticismo generale, ha anticipato il rinnovamento della squadra nelle ultime competizioni, affermando che “non bisogna mai cercare le situazioni comode e personali ma quelle utili per la squadra”. Anche questa decisione è risultata vincente, in quanto superando situazioni tecniche e ambientali molto difficili, i suoi ragazzi ricordando il motto di “utilizzare solo le proprie potenzialità”, hanno superato tutti gli ostacoli, gli ultimi Serbia e Polonia, salendo così sul tetto del mondo. Una bella storia … una grande storia.

Redazione

CBlive

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