Casacalenda, inaugurata la mostra tratta da “Non aprire che all’oscuro” di Flavio Brunetti
E’ stata inaugurata questa mattina, lunedì 1° agosto, a Casacalenda la mostra fotografica tratta da “Non aprire che all’oscuro”, un patrimonio di storia collettiva del Molise rurale salvato e interpretato da Flavio Brunetti, che ha portato alla luce e restaurato le antiche lastre fotografiche provenienti dallo studio Mastrosanti di Casacalenda. Le immagini in bianco e nero salvate dall’oblio, selezionate tra millecinquecento scatti, da oggi fino al 25 settembre prendono vita negli spazi del Palazzo Municipale, per riallacciare legami perduti che riassumono la storia della comunità di Casacalenda tra il XIX e il XX secolo.
Nel corso della presentazione è stato il sindaco Michele Giambarba a descrivere i diversi momenti che hanno portato all’esposizione della mostra, tratteggiando anche i progetti futuri che, insieme alla Fondazione Molise Cultura, accompagneranno in ambito culturale il territorio casacalendese.
Un percorso avvalorato dal direttore della Fondazione Molise Cultura, Sandro Arco che ha ricordato l’ultima stagione teatrale nel Cinema Roma di Casacalenda, immaginando nel prossimo futuro la probabile esposizione permanente della mostra completa negli spazi del Palazzo Municipale. In questo senso per il mese di settembre sono in corso trattative per iniziative sull’emigrazione, in collaborazione con il Ministero nonchè numerose visite scolastiche. E’ stato Flavio Brunetti, nel corso del suo seguitissimo intervento, a raccontare la genesi della mostra, partendo dalla curiosa storia legata al ritrovamento delle lastre fotografiche, le proprie origini casacalendesi, i particolari espressi nelle fotografie, la ricerca antropologica che grazie alla mostra, interessa e interesserà nel futuro la storia della comunità casacalendese.
“Tutte le lastre, e questa è la fortuna – scrive Brunetti del catalogo della mostra ‘Non aprire che allosauro’ – furono scattate dallo stesso fotografo, Mastrosanti, e da lui tutto il paese si recava ad immortalare la nascita, la crescita, la morte, la partenza per il fronte, il matrimonio, la ricerca del marito, la famiglia, etc. Su quei vetri diventa materia la nostra comunità di un secolo fa che rivive e ancora respira e ancora sogna. Quelle mille e cinquecento lastre documentano un Molise ancestrale quasi primitivo e ciascuna rappresenta una condizione esistenziale che nell’insieme si fa documentazione, storia collettiva e ‘stoffa del sogno’ delle generazioni dei nostri avi. E in quel mondo, che solo apparentemente sia passato e più non esista – afferma Brunetti – la fotografia assume un potere divino, magico, sacrale, quello di ridare la vita, in una sorta di metempsicosi, alla bellezza e alla grazia”.