Campobasso, c’era una volta il verde cittadino (di Massimo Dalla Torre)
Per quelli che la notte non passa mai, leggere, anzi scorrere le pagine dei social network è una fonte d’inesauribile ispirazione. Un qualcosa che permette anche se posticipato, perché la maggior parte delle volte le immagini, le fotografie e i relativi articoli si riferiscono a cose divenute di pubblico dominio, di mettere nero su bianco e denunciare le distonie del sistema. Il quale, gioco forza, innesca un meccanismo di riflessioni che spesso si tramuta in considerazioni condite con la rabbia. Il caso in specie è la condizione di abbandono di molti spazi verdi della città nonostante che in questi ultimi tempi si stia cercando di rivalutarli e soprattutto rivitalizzarli. Luoghi che in passato anche recente sono stati la valvola di sfogo di chi cerca un angolo in cui rilassarsi senza il timore di finire tra immondizie o non poter fruire degli arredi come le panchine perché inservibili all’abbisogna. Esempi d’incuria di chi dovrebbe preservare e salvaguardare, anche se possono sembrare futili, gli ultimi scampoli del vivere civile, come direbbero i romantici. I quali, se potessero vedere ed esprimere il loro dissenso, abbonderebbero con improperi e linguaggi poco consoni alla decenza i colpevoli del degrado ambientale.
Uno spettacolo che ha dell’assurdo e del pazzesco che ancora una volta condanna inesorabilmente e senza nessuna prova di appello chi per anni si è erto falsamente a palatino del verde con annessi e connessi. Uno spettacolo documentato con dovizie di particolari da chi crede ancora nella rinascita e di quello che è stato e che purtroppo oggi è solo un lontanissimo ricordo.
Uno spettacolo indegno come quello che si può vedere, purtroppo, in molti angoli di questa Italia divenuta ostaggio del cemento. A fornircene la prova provata dicevamo alcuni cittadini che, stanchi della situazione di assoluto degrado in cui versano gli spazi verdi specialmente quelli situati nella periferia cittadina, ci ha indotto ad andare a costatare di persona di come Campobasso è abbandonato a se stessa. Un qualcosa d’indefinito e indefinibile che la dice lunga di come i proclami, gli impegni e le manifestazioni non sono altro che un palliativo tant’è che le varie azioni messe in atto dai movimenti ambientalisti che spesso si fanno carico di restituire l’antico splendore è lungo e difficile.
Un lavoro che, dovrebbe spettare non alle organizzazioni ambientaliste cui va il plauso, bensì a chi è preposto alla tutela del verde pubblico che, a quanto pare, non solo fa “orecchio da mercante”, come si suol dire, ma ha gli “occhi foderati con fette di prosciutto”, irrancidito, buono solo ad ingrassare i vermi che spesso sono l’unica cosa che si vede, oltre alla ruggine, che fa da padrona sulle suppellettili non più utilizzabili perché inservibili e pericolosi. Costatazioni che sicuramente susciteranno critiche e i risentimenti ma necessarie. Dettate unicamente dalla rabbia verso chi incurante di quanto accade lascia le cose come stanno, forse con la speranza che il tempo e le erbacce cancelli i segni di quello che è. Costatazioni dettate dalla necessità di avere risposte e non promesse.
Costatazioni che speriamo possano risvegliare, anche se il tentativo è stato fatto numerose volte senza alcun esito positivo, l’amore per Campobasso che di verde non ha quasi più nulla se non le tasche dei contribuenti che sono costretti a dover ammainare la bandiera della speranza anche perché come dice un detto popolare: chi di speranza vive, disperato muore.