Molisana, precaria ma con tanta esperienza: così Francesca Colavita ha isolato il Coronavirus. L’assessore alla Sanità del Lazio: “Sarà stabilizzata”
C’è una molisana nel team tutto al femminile del laboratorio di Virologia dell’istituto nazionale Malattie infettive dell’ospedale Spallanzani di Roma che ha isolato il coronavirus.
Si tratta della ricercatrice Francesca Colavita, originaria di Sant’Elia a Pianisi che si era già distinta, insieme alla dottoressa Castielletti, in Africa ai tempi dell’Ebola.
Giovane, precaria ma già con tanta esperienza, su Francesca l’assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato ha già commentato: “sarà stabilizzata, perché rientra nei criteri normativi. Ma queste persone che lavorano in silenzio per noi tutte, risorse insostituibili per noi tutti”.
La certezza che il virus era stato isolato è arrivata nella serata di venerdì scorso. A raccontarlo sulle pagine de ‘Il Messaggero’ è la dottoressa Concetta Castilletti, siciliana e responsabile dell’Unità virus emergenti dell’Istituto Spallanzani che ha lavorato insieme a Francesca.
Due donne del Sud che hanno raggiunto questo risultato straordinario. Non il primo e, sicuramente, nemmeno l’ultimo.
“Qui da noi, nel nostro laboratorio, abbiamo già ottenuto risultati notevoli – ricorda infatti Concetta Castilletti sempre sulle pagine de Il Messaggero – in passato abbiamo isolato il virus dell’’Ebola, lo Zika. Questa volta siamo stati rapidi, perché abbiamo iniziato a lavorare il 30, quando i due pazienti sono risultati positivi al test. Non è semplice, tra le precauzioni che vanno prese c’è il fatto che lavora in un laboratorio a pressione negativa, l’aria entra ma non esce. Ora questo risultato apre importanti possibilità sul fronte dell’individuazione anche nei pazienti asintomatici, nella cura e nel lavoro di ricerca per il virus”.
Meridione e donne: sono questi gli ingredienti del team che oggi vanta questo bel traguardo.
La squadra, diretta da Maria Rosaria Capobianchi e coordinata da Maria Pisciotta, è composta da 14 donne e un uomo. Capobianchi sulle pagine di Open, il gironale diretto da Enrico Mentana, ha spiegato che il risultato ottenuto “è il frutto del lavoro di squadra, della competenza e della passione dei virologi di questo istituto, da anni in prima linea in tutte le emergenze sanitarie nel nostro Paese”.
“L’isolamento del virus ci permetterà di migliorare la risposta all’emergenza coronavirus, di conoscere meglio i meccanismi dell’epidemia e di predisporre le misure più appropriate”, ha aggiunto Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani. “Adesso sarà più semplice trovare un vaccino per il coronavirus, la coltivazione del virus è un fatto fondamentale per qualsiasi allestimento credibile di presidi e nuove strategie – ha detto ancora Capobianchi a margine della conferenza stampa sul coronavirus a Roma – Avere a disposizione il virus significa partire da una buona base”.
“Fino a pochi giorni fa erano disponibili i dati di sequenza del virus che avevano pubblicato i cinesi – ha spiegato la dotteressa – che non hanno fatto uscire il virus dalla Cina pur avendolo isolato. I dati e la diagnostica messa a punto era su dati teorici, hanno funzionato bene, sono stati disegnati dei controlli però adesso possiamo avere il vero controllo, cioè il virus”.
“La diagnosi – ha proseguito ancora Capobianchi – è stata fatta su base molecolare, e cioè la ricerca dell’rna del virus, e in tempo di record, sui primi nostri due pazienti. Sempre a tempo di record abbiamo ottenuto il virus isolato in coltura, cioè il campione biologico del paziente che è stato fatto crescere su delle cellule. Dopo circa 24 ore abbiamo osservato l’effetto citopatico. In quella coltura abbiamo riscontrato la presenza del virus in quantità compatibile con il fatto che stava crescendo”.
“Alla domanda – riporta ancora Open.it – se la scoperta aiutasse la ricerca su una cura per il Coronavirus, Capobianchi ha risposto: “Quando si scoprono virus nuovi il materiale di partenza iniziale cruciale è proprio il virus – ha risposto – Averlo a disposizione, e avere anche un sistema di crescita e coltivazione in vitro, ci dà uno strumento per perfezionare l’attuale diagnosi, che è molecolare, e perfezionare i test sierologici che ancora non ci sono, cioè la ricerca degli anticorpi nel sangue”.
“Poi avere a disposizione il virus ci permette di provare farmaci in vitro e di avere grandi quantità di virus che possono servire per la messa a punto di un vaccino – ha proseguito – oppure di antigeni e preparazioni che poi servono alla diagnostica. Infine, avere a disposizione la coltura ci permette di fare studi sulla patogenesi ossia di capire i meccanismi di replicazione, i rapporti tra il virus e la cellula ospite che possono essere bersaglio delle strategie terapeutiche – ha concluso la ricercatrice – ci permettono di capire come funziona la replicazione del virus”.