Da Hollywood al Molise, Marton Csokas sale in cattedra a Campobasso
L'attore del Signore degli Anelli: "Onorato di poter insegnare il cinema e il teatro ai ragazzi molisani"
Una star di Hollywood in cattedra a Campobasso: l’attore Marton Csokas, protagonista di decine di film di successo come la trilogia de Il Signore degli anelli, Star Wars, Le Crociate, Alice in Wonderland, Spider Man, Sin City e The Equalizer, solo per citarne alcuni, ha accettato di partecipare alle lezioni della scuola di recitazione dell’Università popolare del Teatro e delle Arti dello Spettacolo, diretta da Lino D’Ambrosio. In questa intervista l’attore si racconta e parla di questa nuova esperienza molisana.
Mr Marton, dai grandi set di Hollywood alla piccola Campobasso. Perché ha accettato l’invito a insegnare i segreti del suo mestiere agli aspiranti attori molisani? “Perché mi è stata offerta una opportunità, quella di essere riconoscente a coloro che nella mia vita, nel teatro, mi hanno fatto da maestri, mi hanno guidato nel teatro e nel cinema. Non si tratta solo di lavoro, si tratta della vita, e dare-avere tra le persone è un valore inestimabile. Quando Lino mi ha chiesto di parlare ai ragazzi della sua scuola ho subito pensato di essere onorato e grato. Mia figlia è qui a Campobasso e questo è bastato per creare una connessione immediata. Parlare di teatro è una grande opportunità per ampliare le proprie conoscenze. Attività come questa messa in piedi da Lino vanno incoraggiate e sostenute, lui è una persona intelligente e il programma che ha messo in piedi è la diretta conseguenza di un percorso che farà solo bene ai ragazzi”.
Lei viene a Campobasso nelle pause di un lavoro, il suo, che la porta in tutto il mondo. A cosa si sta dedicando attualmente? “Ultimamente mi sono dedicato al film The Luminaries, basato su un romanzo di Eleanor Catton, non so ancora quando uscirà, tra qualche mese credo. Poi sto lavorando a un progetto con un poeta italiano, Gabriele Tinti, un progetto che coinvolge il recitato, la musica e immagini proiettate, molto interessante, e infine sto lavorando a una produzione spagnola, iniziamo a novembre e farò su e giù tra la Spagna e l’Italia, perché qui devo interpretare il ruolo più importante della mia vita, cioè quello di padre. Poi all’orizzonte c’è anche un film indipendente, ma è ancora tutto da definire”.
Lei ha girato più di trenta film, tutti di grande successo. C’è qualche pellicola alla quale è particolarmente legato? “Credo siano più di trenta. Non tutti sono elencati nelle schede che parlano di me. È davvero difficile scegliere il mio film preferito, sarebbe come preferire un figlio a un altro. Mi sono molto divertito con Asylum diretto da David McKenzie tratto dal libro di Patrick McGrath, con grandi attori, la combinazione di alcuni aspetti psicologici particolari mi ha molto segnato. Comunque in generale l’aspetto più soddisfacente del mio lavoro è la qualità delle persone con cui ti relazioni mentre lavori, se c’è una grande sceneggiatura ma siamo tutti stressati in quel periodo non ne verrà fuori niente di buono o da ricordare. È vero anche il contrario, lavori forse meno preziosi li ricordi volentieri per l’atmosfera unica che c’era mentre ci lavoravamo su. Spesso le persone si stressano per mancanza di esperienza o per egocentrismo, questo rende tutto più difficile. Kingdom of Heaven è stato un bel lavoro anche perché ho dovuto viaggiare tra il Marocco e la Spagna, ho attraversato il deserto su un cavallo senza sella ed è stata una delle esperienze più belle della mia vita, una grande sensazione di libertà. Così come quando ho sperimentato il gelo totale vicino Calgary, in Canada, a 24 gradi sotto zero: eravamo in cima a una montagna con neve e fango fino all’ombelico e non avevamo nemmeno il caffè per scaldarci: queste sono le esperienze che ti segnano veramente”.
In Italia lei è stato doppiato da tanti doppiatori importanti. Cosa pensa di chi le ha prestato la voce qui da noi? “Gli italiani sono i migliori doppiatori, non c’è dubbio. Usano lo stesso doppiatore per lo stesso attore per anni, e questo crea una continuità. Ma molto si perde per strada, con i dialetti ad esempio, o con le lingue africane, sarebbe meglio ascoltarlo con le sfumature e il ritmo della lingua originale e poi affidarsi ai sottotitoli. Preferisco i film con i sottotitoli, in lingua originale. In un mio film c’è una scena in cui parlo con un forte accento di Boston e in quella successiva con un forte accento russo, beh questo il doppiatore italiano non sarà mai in grado di farlo percepire al pubblico, qualcosa si perde per strada. Ci sono sfumature nella voce preziosissime che andrebbero tutelate per tutelare la complessità del personaggio, ma capisco che è un compromesso, anche le pièce di Cechov non hanno sottotitoli e lingua originale, si traducono o vengono doppiate perché c’è necessità di arrivare subito al punto, di essere immediatamente comprensibili”.
Cosa le piace del cinema italiano? “Adoro il Neorealismo italiano. Capolavori senza tempo e so che non ho visto tutto. Mi piace anche Matteo Garrone, ho visto Gomorra, così come La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino, dopo Fellini abbiamo la certezza che se c’è la possibilità di raccontare una storia con talento questa operazione va assolutamente incoraggiata. I contemporanei lo fanno spesso, anche se i neoralisti avevano un senso illuminante del classicismo, della composizione. Tutto andava pensato prima di girare perché altrimenti sarebbe stato troppo costoso, questo faceva la differenza. C’era un attaccamento al momento decisivo, un po’ come lo era per Cartier Bresson in fotografia, oggi con la digitalizzazione questo momento è del tutto sparito. Tutto si può provare e ripetere all’infinito. Nel Neorealismo c’era una profondità psicologica, una profonda conoscenza del senso estetico in tutte le sue forme. Penso ai film Roma città aperta e Ladri di Biciclette, lì si capisce che in ogni scena c’è un omaggio a una concezione del classicismo superiore a tutte le altre forme cinematografiche”.