Condanna vertici Menarini, dal processo di Firenze le carte che consentirono alla procura di Campobasso di trovare il tesoro Angiolillo a Montecarlo e New York
Maxi condanna per frode ai vertici dell’azienda Menarini, la più grande azienda farmaceutica italiana nel mondo con un fatturato di tremila miliardi di euro, con circa 17mila dipendenti.
Dieci anni e sei mesi alla presidente del gruppo farmaceutico Lucia Aleotti, sette e mezzo al fratello Giovanni.
Ordinata la confisca di un miliardo di euro in conti esteri. La tesi della procura di Firenze è stata di fatto accolta dal Tribunale collegiale di Firenze, presieduto da Francesco Gratteri, che dopo un processo durato due anni ha condannato in primo grado i vertici dell’azienda che erano stati accusati a vario titolo di riciclaggio, reimpiego (il secondo ‘lavaggio’ di denaro sporco), evasione fiscale e corruzione.
Tra loro non c’è quello che gli inquirenti hanno considerato ‘l’architetto’ della truffa colossale, l’ex patron Alberto Aleotti, padre dei due condannati, deceduto due anni fa.
Secondo l’accusa dei pm Ettore Squillace Greco, Luca Turco e Giuseppina Mione della procura di Firenze, grazie a società off-shore interposte e complesse triangolazioni la Menarini avrebbe, quindi, sovrafatturato per 26 anni il costo dei principi attivi comprati dalle multinazionali produttrici. Poi – ha spiegato nel corso della sua requisitoria il pm Ettore Squillace Greco (ora procuratore capo a Livorno) – “corrompendo le persone che costituivano gli organi amministrativi deputati alla determinazione del prezzo dei farmaci”, il defunto patron Alberto Aleotti “otteneva prezzi vantaggiosi anche per i prodotti delle altre multinazionali”. Secondo l’altro pm che si è occupato del caso, il sostituto procuratore Luca Turco, “Aleotti è stato molto intelligente e abile, un’abilità e un’intelligenza criminali”. Parlando dei reati – presupposto del riciclaggio – e cioè la enorme truffa sui farmaci da cui sono stati assolti per insufficienza di prove, la corruzione e la frode fiscale (realizzata tramite quattro professionisti svizzeri che hanno patteggiato in udienza preliminare) Turco ha infatti ricordato che Aleotti fu incastrato negli anni di Mani Pulite dall’inchiesta napoletana sulla Farmatruffa: l’ex patron “pagò Poggiolini e gli altri funzionari che determinavano il prezzo dei farmaci, che così non guardavano nemmeno le carte”.
All’origine dell’inchiesta sul riciclaggio dei fondi neri Menarini, c’è un conto segreto in Liechtenstein di 476 milioni di euro di cui nel 2008 erano titolari presso la Banca Lgt del Principato del Liechtenstein il patriarca Alberto Aleotti, morto il 7 maggio 2014, sua moglie Massimiliana Landini e i figli Lucia, Giovanni e Benedetta. Quel conto, secondo solo a quello del Granduca del Liechtenstein, era venuto alla luce nel 2008 quando un ex funzionario della Lgt, Heinrich Kieber, aveva venduto ai servizi segreti tedeschi, per 5 milioni di euro, la lista di 3.929 conti riservati di fondazioni e di 5.828 persone fisiche.
Dalla Germania quelle carte della Lgt erano state inviate in Australia nell’ambito della collaborazione internazionale e due anni dopo l’autorità fiscale australiana le aveva mandate prima al Comando generale della Guardia di Finanza e poi, tramite rogatoria internazionale, al Ministero della Giustizia. Nel corso delle indagini preliminari dei carabinieri dei Nas, guidati dal luogotenente Massimo Visciano, sono state anche documentate “serrate attività di pressione” della famiglia Aleotti “su esponenti politici, negli anni 2008-2009”, per contrastare l’operato di alcune Regioni che “avevano adottato delibere a favore di farmaci generici”.
Pressioni, anche attraverso lettere, sull’ex premier Silvio Berlusconi e sull’ex ministro Claudio Scajola, e ‘interventi’ sull’allora assessore toscano alla salute, e oggi presidente della Regione, Enrico Rossi, e su altri esponenti politici, fra i quali Gianni Letta e vari ex sottosegretari. Su questo tipo di attività la procura non ha mosso alcun rilievo penale. Diverso il caso del senatore ex Pdl Cesare Cursi, che era accusato di corruzione: la sua posizione è stata archiviata dopo la decisione del Senato di negare l’autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni che lo riguardavano. Già presidente della commissione Industria e Commercio, Cursi si attivò più volte, su richiesta degli Aleotti, per bloccare o limitare i poteri delle Regioni sulla prescrizione dei farmaci, con l’obiettivo di difendere la quota di mercato di quelli coperti da brevetto. È per questo episodio corruttivo che è scattato il risarcimento per la Presidenza del Consiglio. Nell’indagine è spuntata anche, col ruolo di “mediatrice” svolto per Aleotti, la signora Maria Girani in Angiolillo, defunta “regina dei salotti romani”. “Ai grandi affari servono anche quelle singolari forme di relazioni social-salottiere che abbiamo conosciuto attraverso le agende di Maria Angiolillo. Ci si conosce, ci si annusa, ci si legittima”, ha detto il pm Squillace Greco sempre durante la sua requisitoria. Nell’ambito delle indagini, i carabinieri dei Nas sequestrarono anche i diari della signora Angiolillo (moglie del senatore Angiolillo), che rimase estranea all’inchiesta, molto amica dell’ex patron di Menarini, Alberto Aleotti.
Nell’arco dell’inchiesta, come cifra equivalente all’illecito, in due distinte occasioni la procura di Firenze aveva infine fatto sequestrare un miliardo e 200 milioni di euro alla famiglia Aleotti, provvedimento poi annullato dalla Cassazione dopo un complesso iter giudiziario. Adesso c’è la nuova confisca che sarà, però, attuata soltanto a sentenza definitiva.
È stata la stessa procura di Firenze che consegnò nel 2012 all’allora pm di Campobasso, Fabio Papa, le intercettazioni telefoniche su Maria Angiolillo che consentirono alla procura molisana di ricostruire nel dettaglio le vicende sottostanti all’appropriazione indebita dei gioielli di proprietà degli eredi del senatore Renato Angiolillo, storico fondatore ed editore del quotidiano “Il Tempo”.
Grazie alle intercettazioni telefoniche, venute fuori proprio dal processo penale di Firenze sulla casa farmaceutica Menarini, i carabinieri molisani, guidati dal maresciallo aiutante Giuseppe Salotto, si misero sulle tracce del “Tesoro Angiolillo”, in parte rinvenuto a Montecarlo e a New York.
L’avvocato Luigi Iosa, difensore di Renato Angiolillo junior, mise in contatto la procura di Campobasso con quella di Firenze al fine di acquisire agli atti le importanti intercettazioni.