5 agosto 2010 – 5 agosto 2017, sette anni dalla scomparsa di Gabriele Caccavaio. La lettera di mamma Carmen “affinché non ci siano più fiori sulle strade”
5 agosto 2010 – 5 agosto 2017: sono passati esattamente sette anni dalla morte di Gabriele Caccavaio, il 29enne di Campobasso che perse la vita in un tragico incidente sulla strada che collega Bonefro al bivio di Casacalenda.
Un giorno impossibile da dimenticare. Un giorno che ha cambiato per sempre la vita di una famiglia, aprendo un una ferita che non sarà mai rimarginata.
Gabriele era conosciutissimo in città, anche per via del suo impegno all’interno della Croce Rossa.
Un volontario modello, non solo quando aveva indosso la divisa. Uno sempre pronto a prestare soccorso, a tendere una mano a chi la chiedeva e anche e soprattutto a chi, magari, non la porgeva affatto. E di quella passione Gabriele avrebbe voluto farne una professione. Mancava poco alla tesi in Scienze Infermieristiche alla Cattolica di Campobasso.
Una scelta arrivata non subito dopo il diploma, ma maturata nel tempo o, meglio sul ‘campo’, proprio per via del suo impegno tra le fila dei giovani della Cri.
Quando aveva deciso che la sua vita sarebbe stata al servizio degli altri, Gabriele si era dedicato anima e corpo allo studio, dividendosi tra le lezioni e gli esami universitari, i turni di 118 e le altre attività della Croce Rossa. Solo un anno prima della sua morte era stato impegnato nei soccorsi del terremoto dell’Aquila che partirono dal Molise. Fu, infatti, tra i primi volontari ad arrivare da Campobasso in Abruzzo. Un’esperienza che lo segnò particolarmente e di cui non parlò mai, conservando silenziosamente, nel profondo del suo animo, lo strazio di chi, per ore, ha scavato tra le macerie.
Gabriele che, oltre a essere studente e volontario, lavorava per rendersi autonomo, era anche tifoso e sostenitore della squadra della sua città e tra i tanti impegni riusciva sempre a trovare un po’ di tempo per le persone a cui voleva bene.
A sette anni dalla scomparsa, Gabriele continua a mancare: ai familiari e ai tanti amici con i quali ha percorso un breve ma intenso “pezzo di strada”. Una perdita resa ancora più dolorosa da un iter giudiziario, finalizzato a poter ricostruire gli ultimi istanti della sua vita e, soprattutto, la reale dinamica di quel sinistro che non diede scampo a Gabriele, la cui storia, solo qualche giorno fa, è approdata sul piccolo schermo (nella nota trasmissione Unomattina Estate ndr), grazie a mamma Carmen che ha trovato il coraggio di raccontare come si fa a “sopravvivere alla scomparsa di un figlio”.
Oggi che ricorre il settimo anniversario dalla morte, la mamma torna a celebrare la memoria del figlio attraverso una lettera. Una lettera per raccontare come, seppur con il peso quotidiano di un dolore straziante, si possa trovare un senso per sopravvivere a quanto di peggio la vita possa avere in serbo per te: la perdita di un figlio.
“Il 5 agosto, come ormai da sette anni, appare sul calendario la data che il mio cuore vorrebbe tanto cancellare ma, inesorabilmente, ogni anno risuona come un lento rintocco di una campana. Non so se sette anni siano tanti o pochi. Per chi ha il cuore spezzato come il mio, credo che non ci sia una risposta perché il tempo si è fermato insieme al cuore di mio figlio Gabriele. Oggi voglio parlare attraverso la carta stampata perché è ciò che mi sento di fare. Alcuni mesi fa, di certo non casualmente, mi è apparso questo aforisma che con gioia ho fatto mio e che mi dà la spinta necessaria per andare avanti: “Mi hanno sepolto, ma quello che loro non sapevano, è che io sono un seme.” – Mujer Arbol. Come il seme germoglia e dà frutti, io voglio dare un senso alla morte di Gabriele! Qualcuno penserà che sono presuntuosa o che non ho abbastanza dolore per percorrere una strada così tanto ostica e impervia…ma ci voglio provare… ci devo riuscire… fosse l’ultima cosa che farò finché avrò vita! Mio figlio è una delle tante Vittime della strada, è un numero che fa parte di una statistica. Noi, di conseguenza, siamo la sua famiglia che è costretta a percorrere una strada di dolore e di solitudine. Da soli abbiamo iniziato il cammino verso la Verità riguardo alla sua morte. Potrebbero accontentarsi una madre, un padre ed un fratello di apprendere la notizia della perdita di un proprio caro senza sapere cosa sia realmente accaduto quel giorno? Il dolore, con la sua potente forza, ‘anestetizza’ la mente, dando al cuore la sola possibilità di piangere..! Abbiamo scoperto in noi una forza che mai avremmo saputo di avere e la nostra lotta continuerà fino al raggiungimento della sana Verità. Lo dobbiamo a Gabriele e a tutti i giovani che hanno perso la vita sull’asfalto per mani altrui. Chi era Gabriele, lo sappiamo noi, lo sanno i suoi amati amici, lo sa, soprattutto, che avrebbe dovuto dimostrare di aver capito! Nessuno si sente al sicuro sulle nostre strade finché ci sono autisti che per colpa loro perdono la vita tanti giovani il cui solo e unico desiderio era quello di vedere realizzati i tanti progetti e sogni!! BASTA PAROLE… occorrono i fatti! La responsabilità deve partire da ognuno di noi. Esiste il Codice della Strada. Esiste la legge che stabilisce il reato dell’omicidio stradale. Sono previste pene certe per coloro che disattendono il citato Codice. Colgo questa occasione di grande dolore per noi di rammentare cosa vuol dire salutare il proprio figlio una mattina di un giovedì di una settimana di piena estate, con la promessa che l’avremmo rivisto la sera. Quella sera a Gabriele è stato impedito di ritornare a casa. Questa è la sola e unica Verità. Lungo la strada provinciale che collega Bonefro a Casacalenda vi è una croce di ferro battuto… ai suoi piedi è deposto un mazzo di fiori colorati come colorata era la sua vita. Su quel tratto di strada ha cessato di battere il cuore di mio figlio Gabriele. E’ mio grande desiderio quello di non vedere mai più mazzi di fiori veri o finti, sbiaditi dal sole, lungo i cigli delle strade che vengono pietosamente legati ai pali o ai guardrail con corde o fili di ferro! Quei fiori sono lì, ben visibili agli occhi di coloro che vi transitano, sono lì perché vogliono indicare che, in quel determinato posto, una vita è stata strappata per sempre! Chissà quanti penseranno “Chi mai avrà perso la vita in quel posto..?; A me non capiterà mai!”. Quei fiori non sono solo fiori e basta.. simboleggiano il sacrificio di una vita umana, l’immenso dolore e le inarrestabili lacrime della sua famiglia che è costretta a subire l’ergastolo del dolore.
Carmen Fichera-Caccavaio