“Dovevo fare la stessa fine di Falcone e Borsellino”. Tangentopoli e i rapporti Stato-mafia: Di Pietro sale in cattedra per parlare di legalità agli studenti del Pilla
Il suo nome compariva al numero tre della lista dei magistrati uccisi dalla mafia. Prima Falcone, poi Borsellino. Ma anche Di Pietro avrebbe dovuto fare la stessa fine.
Era stato informato. Lui e lo stesso Borsellino con il quale l’ex magistrato del pool Mani Pulite ebbe una conversazione durante i funerali di Falcone.
“Facciamo presto, abbiamo poco tempo”. Così gli disse il giudice che di lì a due mesi perderà la vita nella strage di via D’Amelio. A raccontarlo è l’ex pm di Montenero di Bisaccia, Antonio Di Pietro che questa mattina, lunedì 17 dicembre 2018, è salito in cattedra per una lezione di legalità.
Nei locali del Caffè letterario dell’Istituto Leopoldo Pilla di Campobasso, intervistato dal giornalista Giovanni Minicozzi, Di Pietro ha ricostruito, pezzo per pezzo, quella che fu l’inchiesta giudiziaria che travolse la Prima Repubblica.
“Uno spaccato di storia che i docenti ricordano. Diversamente da chi, come i ragazzi presenti, in quegli anni non erano ancora nati e che, oggi, hanno potuto conoscere grazie al racconto di uno dei principali protagonisti”, come ha avuto modo di ricordare la dirigente scolastica Rossella Gianfagna.
Quando Di Pietro riferisce agli allievi che era a conoscenza di come la mafia avesse messo in piedi un disegno preciso anche per lui, in sala c’è silenzio e attenzione.
“A me è andata meglio. A Milano – ha rivelato a una platea attonita – sono stato più tutelato. Abitavo in campagna, gli agenti e le telecamere sorvegliavano 24 ore su 24 la mia abitazione. Non vi nascondo che sono stati anni difficili. Quando ci furono gli attentati, la mia famiglia andò all’estero con documenti di copertura: in Costa Rica e in Ohio”.
Nel racconto che Di Pietro affida agli studenti c’è il sistema delle tangenti. C’è quel mondo corrotto della politica che si intreccia con il comparto dell’imprenditoria, nutrendosi per mano della malavita organizzata. C’è il sistema degli appalti, delle mazzette, il meccanismo distorto di uno Stato che smette di tutelare la collettività per incentivare l’interesse del privato.
C’è un sistema che, probabilmente, non è stato mai interrotto. Almeno di questo sembra essere convinto l’ex magistrato.
Dopo la morte di Borsellino, Di Pietro era l’unico che poteva arrivare “dove – afferma – non siamo arrivati. Le inchieste sono state fermate. Se si fosse fatto tutto – dice convintamente – saremmo in un’altra realtà”.
“A seguito degli omicidi di Falcone e Borsellino – prosegue – lo Stato ha alzato la testa contro la mafia. Ha reagito sul piano fisico. Visto che non si è potuto più uccidere, il sistema ha utilizzato un’altra strategia. Quando si vuole fermare una persona, ci sono due metodi: o ammazzarlo o delegittimarlo. È la morte civile: la tecnica che hanno utilizzato con me”.
Nelle parole di Pietro c’è così il racconto di un sistema che vuole ricomprendere al proprio interno chi ha cercato di sabotarlo. C’è quella telefonata e quella proposta per ricoprire il ruolo di ministro dell’Interno. C’è la stessa offerta che viene avanzata al collega Davigo e c’è quel rifiuto, “perché – pronuncia dinanzi agli allievi della scuola – se avessi accettato sarei stato un ‘padreterno’ corrotto”.
Ma nelle sue parole c’è anche il volto di quelle dimissioni arrivate, “non per fare politica, bensì per difendermi e per affrontare quei 267 processi dai quali sono stato sempre assolto”.
Nell’incontro partecipato con le tante domande che a Di Pietro sono state rivolte dagli studenti c’è una storia umana che si intreccia a doppio filo con quella di un’Italia dove l’impegno sul fronte della legalità sembra non bastare mai e, dove il “pericolo più grande è rappresentato dalla rassegnazione”.
“Mani Pulite ha fatto il proprio dovere, ma ricordate che il magistrato è come il becchino. Quando arriva, la legalità è già morta. Fare il furbo per vincere su qualcun altro non conviene mai, perché ci sarà sempre chi vorrà vincere su di te”, è stato infine il monito lasciato da Di Pietro ai ragazzi del Pilla.
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