Cronache marziane / La grande abbuffata di Natale: cronaca di un ingrasso annunciato
CRISTINA SALVATORE
Se state leggendo questo articolo, vuol dire che siete sopravvissuti a due giorni di eventi enogastronomici interamente dedicati ad annullare mesi intensi di palestra. Si chiude con Santo Stefano la prima manche della no-stop a tavola con la promessa “da domani dieta”, sperando che qualcuno muri il frigo fino a Capodanno.
La cena della vigilia di Natale è un ricordo vivo dentro di noi, così come la trasformazione da quello che eravamo appena giunti dai parenti a ciò che siamo diventati una volta usciti.
Entri in casa loro che sembri Naomi Campbell ed esci che sei Naomi Camper. Il tuo fidanzato alle otto di sera è la copia sputata di Alessandro Gassman, verso le undici di Alessandro non vi è più traccia: è rimasto solo Gas Man. La scelta dell’abito da indossare la sera del ventiquattro, doveva avere un’unica ma fondamentale caratteristica: nero, che slancia. I primi dieci minuti cammini nella sala salutando tutta la parentela con passi felpati da pantera. Dopo due aperitivi e qualche chilata di frittelle di baccalà, il completo nero non funziona più e bisogna ricorrere a qualcosa di più scuro, tipo il buio totale in sala. Mentre mangi il primo dei tre primi, ovvero pappardelle al sugo di storione beluga, già cominci ad avvertire che la tacca in alto della lampo sta per cedere. Al secondo dei primi, gnocchi allo scoglio con tutto lo scoglio, la cerniera ha preso vita propria, decidendo che lo sforzo di strizzare e comprimere i rotoli di grasso è qualcosa che ora spetta al chirurgo plastico. Trattieni il fiato per non esplodere come un palloncino ad elio e quindi ti abbassi in maniera impacciata a raccogliere la forchetta caduta in terra… e sotto il tavolo non puoi non notare che l’unico ad avere i pantaloni ancora abbottonati è il neonato sul seggiolone con la tutina- body. Anche la cugina, quella secca come un chiodo di garofano, era entrata che le si contavano le costole ma poi è uscita che si vedevano le costolette. A tutto ciò si va ad aggiungere la nonna che ripete come un disco rotto “devi mangiare; sei sciupata; assaggia poco poco, Natale viene una volta sola”. Sì, pure il diabete però. Comunque non hai resistito. Sai di essere allergica ai latticini ma la tentazione di succhiare del burro fuso direttamente dalla padella è più forte di te: a Natale puoi, come ripete in continuazione dall’anno zero una pubblicità. Lo sai che nel giro di qualche secondo ti scoppierà sul viso uno sfogo che metterebbe in difficoltà anche la Make-up Artist School di New York, ma non riesci a fermarti. Senti già le lacrime di gioia scendere a zig zag sulle guance tra le pustole. A Natale puoi fare vergognosamente schifo.
Intanto ti chiamano a voce alta dal salotto: è arrivato il momento dei secondi. E quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a tagliare la bistecca di capodoglio con i gomiti aperti e piegati ad asso di coppe che tu sei costretta a mangiare come l’asso di spade. E un brindisi? Non lo vuoi fare? Immancabile! Che se si fa in sei, è rilassante. Se si fa in cinquanta, è Woodstock. Ovviamente ogni famiglia possiede l’intenditore di vini che deve dire la sua sempre e comunque. Peccato che dopo cinque portate a base di aglio tritato e stufato, non distingue più il sapore di un tartufo bianco da una spugna in lana d’acciaio. Intanto ti sei alzata per un controllo preventivo del tuo stato fisico tre ore dopo l’arrivo. Passi velocissima davanti allo specchio per una prova vigliacca perché vuoi capire come ti vedi se ti osservi di sfuggita. Cioè se distingui nel riflesso di quella figura la bellissima panterona nera delle otto di sera o la pantegana che scappa muro- muro dal tinello alla cucina. No, dai, non è possibile! Ti piazzi davanti allo specchio e in effetti qualcosa è cambiato: appena ti metti di profilo hai la certezza di essere la controfigura del Vesuvio, con i capelli. A nulla vale il tentativo di tirare dentro la pancia se non sai dove mettere gli organi.
E il tuo fidanzato tra un po’ vuole andare pure al veglione. Anzi, non vede l’ora di recarsi al veglione di Natale perché deve “divertirsi abbestia” con i suoi amici maturati male. Dico io, ma dove devi andare che se inciampi nella pista da ballo fai strike? Dove vado io, che in macchina è obbligatoria la cintura e se solo una piuma mi sfiora il ventre comincio a sanguinare dal naso?
Dove devi andare, che dovrai parlare con la gente e c’hai la fiatella di uno che s’è ingoiato la carcassa di una puzzola annegata nel San Crispino!
Dove vado a ballare io, che alle otto odoravo di Chanel n.5 e a mezzanotte so di Frittell’ n.105? E poi, chi diavolo guida se il più sobrio qui dentro sta ancora gridando “dai, entra, favorisci” davanti allo specchio, con il vassoio della frutta di plastica in mano?
“Eh, ma devo portare i regali”. I regali. Parliamone. Quei pensieri non pensati, fatti senza impegno e interesse, giusto per non presentarsi a mani vuote. Peggio di non ricevere nulla c’è solo riceverne di così. Però sentiremo sempre la pacata risposta natalizia che mette tutti in pace col mondo: ”oh, grazie! Mi serviva proprio”. Certo, per riciclarlo. Quel regalo vedrà più case di un corriere Bartolini e da tutti riceverà la stessa risposta più falsa di un’aloe falsa: “mi serviva proprio!”. Fino a quando tornerà per sbaglio in dono al mittente, a colui che l’ha riciclato per primo e che potrà finalmente mettere fine allo strazio della catena impazzita confessando che l’aveva regalato perché, davvero, non serve proprio a un cactus!