Uffici postali chiusi il 1° giugno. Fine settimana nero per il servizio di recapito. Uil e Cgil sul piede di guerra
Le organizzazioni sindacali in protesta contro una politica dei tagli fatta sulle spalle di lavoratori e cittadini
Braccia incrociate per i lavoratori di Poste Italiane e uffici chiusi venerdì 1° giugno 2018. A proclamare lo sciopero, che provocherà non pochi disservizi considerando anche le chiusure previste per le festività del 2 e 3 giugno, sono state le segreterie regionali di Uil poste e SLC Cgil del Molise. A spiegare i motivi della protesta la segretaria regionale Uil Molise,Tecla Boccardo, il segretario confederale Cgil Molise, Franco Spina, il segretario generale Uil poste Molise, Aniello Pascarelli, nonché Mimmo Fiocca, segretario regionale Slc Cgil Molise durante la conferenza stampa di questa mattina, mercoledì 30 maggio, nella sede del sindacato di via Crispi a Campobasso.
“Si tratta di una scelta presa alla luce delle mancate risposte da parte dell’azienda. Ci sono ragioni di carattere lavorativo ma anche sociale che hanno portato a questa, seppur dolorosa, decisione”, ha detto Pascarelli. “Ci sono tantissimi operatori, soprattutto giovani, – ha proseguito – con contratto part time che attendono, persino da otto anni la trasformazione in full time. Eppure l’azienda continua ad imporre una marea di straordinari per i turni pomeridiani. Paga gli straordinari che sono non tassati e non trasforma i contratti part time. In Molise Poste Italiane ha, in percentuale, un numero di contratti part time superiori a quanto invece prevede la legge”.
Sul taglio dei servizi nei piccoli centri del Molise dove ciò aumenta il rischio dello spopolamento si è, invece, concentrata la Boccardo. Per le organizzazioni sindacali che hanno promosso lo sciopero, l’ufficio postale e la consegna della corrispondenza rappresentavano, nell’immaginario collettivo, una certezza, cancellata oramai dal semplice imperativo del sempre maggior ricavo. “Invece – si legge nel documento siglato in occasione dello sciopero – continuano a parlare di digitalizzazione dove non solo manca la rete ma anche i soldi per comprare un computer”. “A pagare tutto ciò, nei piccoli comuni, sono le nostre comunità e sempre più spesso glia anziani – ha detto la Boccardo – a cui vengono tolti servizi essenziali”.
Sotto la lente d’ingrandimento dei sindacati anche percorsi di crescita del personale delle filiali, dove, “addirittura, la laurea, – come ha evidenziato Fiocca – si trasforma in un boomerang. Una pratica indegna e vergognosa, in auge soprattutto nella filiale di Campobasso”.
Ad essere attenzionate dai sindacati anche le problematiche con un risvolto tipicamente sociale, che riguarda tutta la Regione, che ha il primato di essere stata quella maggiormente penalizzata dai tagli e di aver perso in dieci anni la metà dei posti di lavoro. Di 1600 addetti ora ne restano, infatti, poco più di 800.
Anche molti servizi sono stati portati via e assegnati ad altre regioni. Ciò avviene ad esempio per le pratiche di successione che vengono lavorate in Puglia. “E tutto questo – fanno sapere dai sindacati – a fronte di un bilancio aziendale florido che vede un’ininterrotta distribuzione di utili agli azionisti. Poste Italiane si è quotata in Borsa, le azioni continuano a salire e dalla vendita del 40% delle stesse il Ministero dell’Economia ha ricavato 3 miliardi e 750 milioni di euro. Nulla è stato reinvestito in Azienda”.
Occhi puntati anche al recapito a giorni alterni in quasi tutta la regione, avvenuto nel pieno silenzio della classe politica molisana, così come ha ribadito Spina.
L’appello dei sindacati è, perciò, rivolto alla classe politica regionale, ma anche a tutti gli amministratori dei centri in cui i tagli si sono fatti sentire con risvolti negativi. “Tra i tanti – riferiscono infatti i rappresentanti sindacali – c’è stata solo qualche coraggiosa e sporadica presa di posizione, come ad esempio quella del primo cittadino di San Pietro Avellana, ricorso al Tar”. Una situazione certamente differente da quella della Toscana dove lo stesso Governatore ha appoggiato pubblicamente le amministrazioni comunali, costringendo l’azienda a dover recedere dai propri progetti.