Un messaggio di speranza e di forza da mettere sotto l’albero in vista del Natale: la giovane Simona Di Chiro, di Baranello, racconta tutto l’amore che la porta a lottare giorno dopo giorno accanto a suo fratello, il ‘piccolo Totò’. Racconta la leucemia che ha colpito Totò a soli 4 anni ma anche la sua forza di volontà e il sorriso che questo bambino non perde mai, neanche durante i periodi più difficili.
Simona, ci racconti la storia del tuo fratellino Antonio, o meglio “del piccolo Totò”? “Antonio è il fratellino che ho sempre sognato e non a caso dico ogni volta che è stato il regalo più bello che mamma e papà potessero mai farmi. Ma nell’estate 2015, all’età di quattro anni, Antonio aveva spesso e in maniera anomala la febbre. Dopo alcuni accertamenti al Pronto Soccorso di Campobasso, subito c’è stato il trasferimento al Policlinico Agostino Gemelli di Roma, dove dopo pochi giorni ci hanno dato la diagnosi: leucemia linfoblastica acuta. Era così piccolo che sapeva dire poche paroline e quando qualcuno gli chiedeva il suo nome, lui rispondeva “Totò”. E così ha inizio il calvario di questo piccolo grande uomo: Totò, dopo un lungo e difficile percorso di chemioterapia, guarisce. Ma a distanza di neanche un anno, la malattia torna. Se con la prima malattia il mondo ci era caduto addosso, con la ricaduta il dolore è stato ancora più intenso, difficile anche da raccontare. Ma io e la mia famiglia, grazie alla forza e al coraggio ineffabile di mia madre, eravamo nuovamente pronti ad affrontare tutto con il sorriso perché per Antonio, ormai grandicello e consapevole di cosa gli aspettava, era importante vivere la malattia in serenità ma del resto… è impossibile stargli accanto e non sorridere! Ma a parte il sostegno e l’amore inesauribile che possiamo offrirgli, sono molti i momenti difficili ed Antonio è, ancora oggi, nelle mani della medicina e sta lottando per la vita”.
Come affronta, seppur così piccolo, la sua malattia? “Antonio è un bambino di eccezionale vitalità: ha sempre il sorriso e anche quando la chemioterapia lo fa stare molto male, lui sfrutta quel poco di energia che gli resta per impugnare un colore o per unire i pezzi di un puzzle. Con la sua dolcezza ha conquistato tutti diventando la mascotte dell’ospedale: è conosciuto ed amato da tutti! Inoltre è anche un paziente modello: in tutti questi anni, Antonio, non ha mai pianto e si fa fare tutto, dal semplice prelievo di sangue a procedure più invasive. Ma non senza chiedere prima “cosa mi devi fare?”, “perché me lo devi fare?”, “in cosa consiste?”… Lui infatti sa tutto, fino a sapere anche i nomi delle medicine, e vuole potersi fidare degli infermieri e dei medici”.
Come cerchi di alleviare le sue giornate in ospedale? “Sin da quando è nato gli sussurravo all’orecchio che sarei stata sempre al suo fianco e così è e sarà per sempre. La sua malattia non ha fatto altro che unirci ancora di più: se prima lo portavo al parco in mezzo ai fiori adesso sono io che devo creare il parco intorno a lui e lo faccio armandomi di forbici, matite, cartoncini colorati…. perché i fiori veri non possono entrare in reparto per questioni di sicurezza. La vita in ospedale non è semplice, soprattutto per periodi così lunghi: si perde la concezione del tempo e anche dello spazio in quanto la vita si riduce spesso a stare tra le quattro mura della stanza che ti viene assegnata. Diventano difficili anche le cose più facili, come prendere Antonio in braccio e stritolarlo di coccole perché c’è da fare attenzione alle flebo, ai cerotti e tanto altro. Eppure noi facciamo tutto insieme, dal pigiama party, alla serata in disco-music, agli aperitivi, ai pic-nic, alle passeggiate per il corso, alle recite teatrali… e tutto questo con la forza della creatività e dell’immaginazione. Un altro punto forte del nostro legame è la fiducia: Antonio sa che qualsiasi cosa io gli dica, brutta o bella che sia, è vera e insieme la affrontiamo. Quando sono al suo fianco non sento fame, sete, stanchezza… sento solo di voler fare l’impossibile per renderlo felice!”
Ci racconti come si vive, da familiari, una malattia pediatrica? “Stare accanto ad un bambino malato non è per niente facile perché ti senti impotente in quanto devi affrontare qualcosa più grande di te. Zero sono le risposte alle innumerevoli domande che ti poni e infinite sono le paure da gestire. Quando Antonio mi prende il viso tra le sue manine e mi chiede domande del tipo “ma perché mi sono ammalato di nuovo? Io le ho prese le medicine! Ho sbagliato io?”… mi ritrovo occhi negli occhi con lui e mi rendo conto che anche lui, a soli otto anni, si pone delle domande e non trova risposte. Inoltre, vivere in un reparto di oncologia pediatrica non significa avere solo il dolore del tuo caro ma vivi tutte le sofferenze degli altri piccoli pazienti e delle loro famiglie: purtroppo in questi lunghi anni molti bambini che abbiamo conosciuto non ce l’hanno fatto e per noi è stato ed è davvero devastante…”
Cosa hai imparato e cosa stai imparando da questa esperienza? “Vorrei tanto poter rispondere a questa domanda dicendo che “da questa esperienza ho imparato a dare importanza alle cose che davvero contano nella vita” o dire che “questa esperienza mi ha reso più forte” ma… non è così. Anzi, forte mi ci sentivo più prima. Da questa esperienza ho imparato che il dolore può essere talmente intenso che ti manca il respiro, ho imparato che una mente e un corpo giovane, come i miei, possono sentire la stanchezza psico-fisica di una persona di almeno 20 anni di più. E poi ho imparato che esiste un modo strepitoso di affrontare la vita ed è rinchiuso in piccoli corpi: nei bambini”.
Spesso usi i social per dare informazioni e sensibilizzare alla ricerca, una speranza per tutte le persone ammalate… “Ormai i social sono diventati uno dei mezzi più potenti per la circolazione e la condivisione delle informazioni e allora perché non sfruttarli per far arrivare alle persone messaggi del tipo che la donazione di sangue salva davvero delle vite? Anzi, le trasfusioni di sangue sono una delle cose essenziali per poter affrontare le terapie. Il sangue lo abbiamo tutti eppure sono ancora poche le donazioni. La cosa più aberrante è che, nonostante la tanta pubblicità, molte persone ignorano l’importanza fondamentale di tale gesto. O perché non testimoniare che ci sono associazioni che davvero utilizzano i soldi per aiutare le persone in difficoltà? Ebbene si. Ci sono associazioni che offrono un alloggio gratuito, altre che organizzano eventi tipo gite, spettacoli e altre iniziative per i piccoli pazienti, tutto in completa sicurezza. Quando pubblico un post con Antonio, ricevo tantissime risposte e mi rendo conto che io e il mio fratellino, insieme, lanciamo messaggi d’amore e di incoraggiamento anche per altre persone che soffrono per un motivo o per un altro. Mi piacerebbe dire che sogno un mondo dove i bambini non possano mai ammalarsi ma al momento mi limito a sognare che la nostra regione, il Molise, e tutte le regioni del Sud d’Italia, possano offrire servizi adeguati per le cure dei più piccoli cosicché le famiglie riescano a rimanere unite e soprattutto i bimbi possano affrontare la malattia senza che quest’ultima stravolga del tutto la loro vita. Per sostenere e curare il piccolo Totò, tu e tua mamma vi siete trasferite a Roma. Cosa vi manca del Molise? E al dolce Totò cosa manca di casa sua?”
Cosa ti senti di dire a chi come te, mamma, sorella, zia di un bambino malato, sta vivendo questo momento della propria vita? “È difficile dire qualcosa ad un familiare di un bambino malato perché mi rendo conto che spesso molte parole di fronte al dolore sono inefficaci. So solo che più il dolore è forte e più lo trasformo in momenti di felicità con il mio fratellino. Non posso dare nessuna lezione di vita perché ancora una volta la lezione più bella ce la danno loro: i bambini. L’unica cosa che mi sento di dire è: se non si arrendono loro perché dobbiamo arrenderci noi?”.
L’intervista si conclude con il ‘Grazie’ gioioso del il piccolo Totò, sempre accanto a sua sorella Simona. La storia del piccolo ma grande guerriero Totò è un esempio per tutti noi.