La warm cognition è un filone di ricerca attuale che tiene conto delle emozioni sottostanti il processo di apprendimento e didattico. Difficoltà nello studio e di concentrazione spesso sono associati a quadri di Disturbi Specifici dell’apprendimento o ad un deficit di attenzione e/o iperattività.
Tuttavia, l’apprendimento è un processo complesso e di studenti poco brillanti le scuole sono piene, senza che ciò sia indice di un disturbo neuropsicologico. Proprio da questa riflessione è nato il filone di ricerca che è poi sfociato sulla warm cognition della prof.ssa Daniela Lucangeli e dei suoi collaboratori all’università di Padova.
Da dove nasce la warm cognition? Ti ricordi la sensazione che ti pervadeva quando l’insegnante ti chiamava alla lavagna per risolvere un’equazione? Probabilmente, soprattutto nel caso in cui ciò che provavi era angoscia, lo ricorderai bene.
Ti sei mai chiesto perché, anche da adulto, ti ricordi come se fosse ieri quell’insegnante che ti bloccava o quell’altro che, invece, è stato fonte di ispirazione?
Perché abbiamo ancora la sensazione della paura del compito in classe o quella dell’interrogazione?
Ecco una prima, superficiale, risposta: il nostro cervello non ricorda i contenuti, ma le emozioni. Le emozioni lasciano una traccia a lungo termine.
Ma analizziamo la questione più da vicino.
Difficoltà nello studio e di concentrazione spesso sono associati a quadri di Disturbi Specifici dell’apprendimento o ad un deficit di attenzione e/o iperattività. Tuttavia, l’apprendimento è un processo complesso e di studenti poco brillanti le scuole sono piene, senza che ciò sia indice di un disturbo neuropsicologico. Proprio da questa riflessione è nato il filone di ricerca che è poi sfociato sulla warm cognition della prof.ssa Daniela Lucangeli e dei suoi collaboratori all’università di Padova. Ciò che è emerso dai loro studi è estremamente interessante e ci invita ad una rivalutazione di ciò che è stata la didattica fino ad oggi. Il processo di insegnamento e apprendimento all’interno dei circuiti neurali.
Lo studio delle emozioni ci ha mostrato come esse abbiano luogo nel sistema limbico, in particolare nell’amigdala, e abbiano una funzione di allerta per l’organismo, fortemente legata alla sopravvivenza. È proprio questa attivazione dei centri sottocorticali dell’encefalo che determina la componente fisiologica dell’emozione (ad esempio: sudorazione, tachicardia, tensione muscolare, etc..), ma contemporaneamente lo stimolo viene valutato anche dalle cortecce associative che mettono in moto i processi di valutazione cognitiva della situazione emotigena, parti integranti dell’esperienza emotiva.
Se trasportiamo tutto questo ad una situazione reale possiamo capire come, ad esempio, se uno studente apprende sperimentando paura, la paura di sbagliare, il suo sistema di sopravvivenza si attiverà in futuro in modo tale da consentirgli l’evitamento di situazioni analoghe.
Questo accade perché emozione e cognizione sono due facce della stessa medaglia, fortemente interconnesse fra loro che operano a livelli ancestrali. L’avere compreso questo meccanismo ci ha portati al passo successivo, esattamente ciò che ognuno di noi ha esperito pensando a quando veniva chiamato alla lavagna dall’insegnante: l’attivazione emotiva genera memorie più durature.
Se una nozione è stata appresa sperimentando paura, ogni qual volta verrà ripescata dalla memoria si attiverà nuovamente il vissuto emotivo corrispondente poiché apprendimento ed emozione hanno tracciato lo stesso percorso sinaptico, viaggiando insieme.
Quindi mettiamo in memoria anche le emozioni, in questo caso, negative. Ma mentre la nozione appresa finirà nella memoria procedurale o semantica, la memoria del sentimento di incapacità e inadeguatezza finirà nella memoria autobiografica, intaccando significativamente l’autostima e l’autoefficacia dell’alunno. Infatti, il ripetersi di questo meccanismo per svariati anni scolastici porterà ad una stabilizzazione del circuito che è ciò che in psicologia si chiama fenomeno dell’impotenza appresa. Il bambino imparerà che non è capace ad eseguire quel dato compito, sentendosi impotente, e l’esperienza reiterata del fallimento gli darà conferma della sua incapacità innata. Ma ciò accade perché l’emozione associata a quella funzione specifica si comporta da antagonista dell’apprendimento. Cos’è la warm cognition.
Ma quindi cos’è questa warm cognition? Letteralmente potremmo tradurla come “emozione calda”. Per dirla in maniera ancora più semplice, il sorriso.
Dobbiamo fare in modo di tracciare gli apprendimenti con delle emozioni positive e ciò può accadere soltanto se instauriamo un’alleanza con il bambino, in cui l’errore non è il nemico da sconfiggere.
Ecco perché è importante che l’insegnante si svincoli dalla categoria del giudizio, nel quale è stato relegato dal sistema educativo basato sulla valutazione quantitativa, uscendo quindi da quella dimensione giudicante che trasmette paura (del voto, dell’errore, etc..), senso di colpa, di incapacità.
Questa è la sfida che le neuroscienze lanciano alla didattica e alla scuola contemporanea. Formare gli insegnanti in modo tale che possano fare leva su emozioni positive come la motivazione allo studio, la gratificazione, il senso di autoefficacia. Questi meccanismi cognitivi, infatti, sono considerati dalla ricerca dei fattori predittivi positivi per il successo scolastico e favoriscono i processi di apprendimento.
Dott.ssa Debora Patricielli