È anche una canzone di Lady Gaga, star della musica pop e premio Oscar recentemente ospite di Fabio Fazio a “Che tempo che fa”: poker face fa parte del vocabolario comune, lo dicono proprio tutti – anche chi a poker non sa nemmeno giocare. Terminologia nata proprio nel contesto del gioco d’azzardo, è oggi entrata completamente nel linguaggio comune. Ma che cos’è la poker face?
La poker face al tavolo verde
Essere un esperto giocatore di poker non significa solamente conoscere perfettamente il valore delle poker fiches nei tornei e nei cash game, le strategie e i trucchi di calcolo, ma vuole anche dire essere in grado di sedersi al tavolo e scrutare i propri avversari con la poker face più convincente possibile. Si tratta di un’espressione totalmente imperscrutabile e impassibile: non lascia trasparire alcuna emozione, è anzi un perfetto scudo, è uno sguardo freddo.
C’è chi sostiene che la poker face nasconda qualcosa, c’è chi la associa a una menzogna da celare: la verità è che nel poker si tratta semplicemente di un cipiglio neutro e imperturbabile. Il poker, del resto, è un gioco a informazione parziale: non si conoscono le carte degli avversari, mentre si sa cosa si ha in mano e cosa c’è sul tavolo. Se gli altri giocatori scoprissero le nostre carte, ci batterebbero; pertanto al tavolo verde è importante:
- Avere capacità di lettura;
- Avere capacità di dissimulazione.
E per scoprire le carte degli altri non occorre necessariamente sbirciare davvero cosa ci sia fra le mani degli avversari, ma può essere sufficiente studiare i loro comportamenti: guardare le pupille, controllare il cambio del respiro, contare quante volte riguardano le carte durante la partita. Osservare ogni piccolo segnale equivale a scoprire indizi e, forse, anche capire schemi non verbali. Il poker, insomma, diventa anche uno scontro di linguaggi del corpo: emettere un segnale falso significa rendere il gioco ancora più difficile.
E nella vita di tutti i giorni, invece, cos’è la poker face?
La poker face in psicologia
Abbiamo appena visto che al tavolo verde la poker face ha un’importanza cruciale, poiché non dà agli avversari la possibilità di capire quali carte abbiamo in mano. Ma quando la partita di poker finisce è ancora importante saper bluffare e ingannare chi ci sta di fronte?
Un’altra terminologia entrata nel linguaggio comune è fare buon viso a cattivo gioco: ecco un esempio dell’applicazione della poker face nella quotidianità. Facciamo un esempio concreto: quando ci prendiamo una forte cotta per qualcuno, quando dichiariamo loro il nostro amore e scopriamo di non essere ricambiati, possiamo reagire con una poker face, per non lasciar trasparire tutto l’immenso dolore che proviamo. Lo stesso può accadere quando abbiamo bisogno di celare la delusione dopo che il nostro capo ci ha comunicato che non riceveremo la promozione che ci era stata promessa. Incassiamo il colpo senza far notare a chi abbiamo di fronte quando ci siamo davvero rimasti male.
Negli esempi appena descritti, la poker face nasce dall’orgoglio: la disillusione ci dilania, eppure non vogliamo darlo a vedere. Si tratta di un comportamento tipicamente e unicamente umano: nemmeno i nostri migliori amici, i cani, riescono a dissimulare il dispiacere dopo un rimprovero. Il nostro corpo e la nostra mente attuano strategie perché la nostra espressione facciale risulti neutra e distaccata, e affinché le nostre gote non arrossiscano né vengano solcate da lacrime. A livello fisico, dunque, entra in gioco un potentissimo controllo espressivo, mentre a livello mentale un’incredibile capacità di sedare i pensieri negativi. E così la poker face diventa una maschera dietro la quale riusciamo a mantenere la calma anche nelle situazioni più spiacevoli e difficoltose – sia a livello personale e affettivo, che professionale. Sentimenti ed emozioni non vengono soppressi: a dominare è il contegno.
Sono stati dei giornalisti sportivi statunitensi i primi a fare uso del termine poker face fuori dal contesto del gioco d’azzardo, e oggi questo linguaggio è applicabile in ogni ambito in cui la freddezza fa da scudo allo stress. Ecco dunque come un modo di dire così legato al tavolo verde è diventato oggetto di studi della psicologia e come torna utile anche nelle relazioni e nella negoziazione.