“La geografia conta” è un titolo che racchiude tutto il succo della discussione. Le possibilità di sopravvivere a un ictus cerebrale, e la maggiore o minore gravità delle conseguenze che poi affliggeranno per tutta la vita la persona colpita, possono essere infatti semplicemente una questione di residenza. Vivere nel posto giusto, in altri termini. Trovarsi in un luogo dove una Stroke unit, la struttura specializzata per affrontare l’ictus, sia raggiungibile entro quattro ore, il periodo di tempo considerato cruciale per intervenire.
In Europa esistono situazioni molto diverse: aree in cui le Stroke unit sono in numero ottimale per la popolazione, ma anche zone in cui prima di raggiungere una struttura specializzata il paziente può aspettare molto, e andare al di là di quel breve lasso di tempo che può dividere la vita dalla morte, l’autosufficienza dalla disabilità. E in Italia queste disparità sono particolarmente accentuate, se si considera che i due terzi delle stroke unit sono situate al centro nord, una situazione che penalizza fortemente i cittadini del sud.
“Le stroke unit – ha detto Grella – sono le uniche strutture in cui l’ictus può essere realmente affrontato e trattato, dal momento dell’emergenza fino alla riabilitazione, riducendo in modo drammatico le possibilità di morte o disabilità nella persona colpita. Ma la partita dell’ictus si gioca sul tempo, e per questo motivo è assolutamente necessario che la presenza delle stroke unit sul territorio sia adeguata. Ciò non avviene in molte zone d’Europa e non avviene in Italia. Ecco perché questo meeting di Bruxelles rappresenta un momento fondamentale per sollevare il problema delle diseguaglianze geografiche. Il paziente colpito da un ictus deve essere prontamente trattato con le cure più appropriate, indipendentemente da dove vive”.