SERGIO MARCHETTA
Per il primo appuntamento di questa rubrica dedicato alla musica non potevamo non scegliere un’artista che ha fatto delle note una ragione di vita. Incontro Alessia D’Alessandro: una voce e un viso che non hanno bisogno di presentazioni per chi ha orecchio fino. La prima caratteristica che colpisce di lei è la semplicità; niente di più raro da reperire nel modo di porsi e di proporsi di chi fa mestieri creativi. Ma questa giovane artista è una di quelle persone che non presentano bigliettini da visita: Alessia ti invita, ti accoglie, prende una chitarra, stringe il plettro tra le dita, intona una storia e alla fine, mentre l’ultima nota ancora riverbera nell’aria, ti semina nel cuore un brivido di poesia e ti fa capire di che pasta è fatta.
Alessia, posso definirti una ‘cantastorie’?
“Certo, è una definizione che mi appartiene. Quando scrivo i miei testi e le mie musiche comunque non faccio altro che raccontare, narrare; e spesso lo faccio parlando di me stessa”.
Non sei solo una musicista, sei un’artista che si cimenta in forme espressive sempre nuove e diverse. E’ corretto dire che artisti si nasce?
“Artisti si nasce ma artisti si diventa. L’animo artistico è qualcosa di innato che prima o poi emerge. L’esperienza poi aiuta a crescere, perfezionarsi e a far affiorare la necessità di scoprire altre sfaccettature di sé. Per me è assolutamente fondamentale sperimentare l’arte e affrontare i limiti per scoprire che in fondo si può riuscire a fare sempre altro e meglio”.
Sei salita per la prima volta su un palco a 18 anni. Che cosa rappresenta il pubblico per te?
“Quella famosa prima volta la ricordo ancora benissimo: ero insieme alla mia amica cantautrice Liana Marino con la quale avevamo messo su i ‘Doppio Zero’ e ci esibivamo in Piazza Prefettura. In quella occasione il pubblico mi appariva come una barriera insormontabile. Poco più tardi invece, a metà concerto, ho iniziato a percepire questa dimensione di assoluta libertà che rappresenta il palcoscenico per un artista e così ho cominciato a sentire il pubblico non più come un antagonista ma come un elemento di confronto e come il destinatario di quello che voglio esprimere”.
Dal 2005 con il gruppo No Fly Zone fai un lavoro di contaminazione dei suoni e della cultura molisana. Mi sembra di capire che questa sia una vera e propria “missione” che mira a conservare e valorizzare le sonorità e le tradizioni locali.
“E’ così. Ma anche questo è stato un percorso che si è evoluto nel tempo. Siamo partiti facendo rock-blues per arrivare a sperimentarci attraverso musica più “nostra”, anche in senso geografico. Un modo di esaltare le tradizioni attraverso i suoni e la ricerca. In seguito anche lo stile si è raffinato, modernizzato, abbiamo iniziato a scrivere brani nuovi ma sempre con la tendenza a conservare lo spirito che ci contraddistingue dall’inizio”.
Se ti dico nell’orecchio le parole: Talent Show cosa provi?
“Inorridisco (Alessia sorride). Secondo me non è quello il modo migliore di tirare fuori dei talenti; lo show ha snaturato la passione; il talent è soprattutto spettacolo e commercio che fa inevitabilmente venire meno la purezza dell’arte. Questo purtroppo condiziona anche l’opinione pubblica rispetto al concetto di arte”.
Ascoltare un tuo brano non è solo un viaggio nella musica ma anche una vera e propria esperienza sensoriale vista la capacita che hai di raccontare poeticamente attraverso i tuoi testi: quanta poesia c’è nelle tue canzoni?
“Quando scrivo un testo ci metto molto di me dentro e preferisco sempre che la musica segua le parole. Per questo mi piacerebbe che una canzone venisse sempre ascoltata oltre l’impatto sonoro superficiale. Se riesco a far cogliere un’emozione attraverso quello che racconto cantando, quell’emozione diventa anche la mia”.
Cosa rappresenta la chitarra per te?
“La chitarra mi è sempre piaciuta, soprattutto la chitarra classica. Ricordo che ai tempi delle medie mi capitava di svegliarmi prima di andare a scuola magari per imparare a suonare un accordo nuovo sullo strumento. Non a caso l’ultimo brano che ho registrato è una canzone chitarra e voce; un pezzo in cui ho scoperto che a volte l’essenzialità è più efficace di mille aggiunte strumentali”.
Tu sei nata in Molise e sei rimasta qui, contrariamente a tanti tuoi coetanei: è stata una scelta o una necessità?
“In realtà ho vissuto tanti anni a Napoli, dove mi sono formata studiando canto e quella città mi resta nel cuore. Ma anche dopo essere tornata in Molise devo dire che ho fatto sempre ciò che mi piace e ci sono sempre riuscita; per cui non ho sentito l’esigenza impellente di andare fuori. Ho sempre creduto di dover provare prima a costruire nei miei posti anche se a volte quello che manca in Molise è il confronto, lo scambio, l’apertura. Abbiamo ancora tante sovrastrutture che purtroppo ci limitano”.
Una ragazza che sceglie di occupare gran parte del suo tempo dedicandolo alla musica o comunque all’arte spesso si trova a dover fronteggiare l’ostacolo dei genitori e della famiglia che ricordano che “di arte non si campa”... Tu che esperienza hai avuto in tal senso?
“Credo che tutti i genitori abbiano pronunciato questa frase e anche i miei lo hanno fatto. All’inizio la mia scelta fu percepita da loro quasi come una perdita di tempo; poi negli anni sono diventati partecipi di questa mia emozione e passione artistica. Fortunatamente”.
Alessia è anche un’attrice di tutto rispetto. Cosa ti sta dando il teatro?
“Iniziare a recitare è stata una sfida per me stessa, soprattutto all’inizio. Ho dovuto sbloccare una parte di me prima di riuscire a sentirmi sicura. E’ stato rivivere le emozioni della prima volta su un palco, come quel giorno in Piazza Prefettura. Anche recentemente, durante le prove di uno spettacolo, quando il regista Francesco Vitale mi ha proposto il copione da imparare ho pensato: “Non ce la farò mai, tu sei pazzo!”. Ed ho continuato a pensarlo anche dopo che il sipario si è aperto. Ma poi è l’emozione stessa che ti aiuta a superare l’impatto con le nuove esperienze e ti fa acquisire sicurezza e desiderio di metterti alla prova”.
Alessia, tu sei anche un’insegnante di canto: è più facile insegnare canto a un bimbo o trasmettere un’emozione a un adulto?
“Ritengo che i bambini siano molto più liberi degli adulti sia nell’esprimere che nel ricevere emozioni. Cerco sempre di far capire loro tutto il ‘tanto altro’ che c’è dietro il canto e dietro lo studio. Stare con i piccoli per me è sempre un momento di libertà e di scambio nella semplicità”.
In un mondo di luci abbaglianti e confusione, il buio e il silenzio che valore hanno per te in quanto artista?
“Se dovessi descrivere l’arte non lo farei con parole che sanno di bagliore o di appariscenza. Per me l’arte è introspezione e quindi il buio lo rappresenta; è nei momenti di solitudine e di silenzio che l’arte emerge. Il palcoscenico è soltanto l’appuntamento con il confronto che si fa spettacolo. L’arte è un buio creativo”.
Cos’è il sogno per Alessia?
“Forse il sogno è un desiderio, la libertà, la condivisione dei sentimenti con la realtà e con quello che non si riesce a liberare nella quotidianità. La favola della realtà”.
Non importa se armata di sola chitarra o al centro di un’orchestra, non fa differenza se verremo ad applaudirti in teatro o in una piazza estiva: comunque sapremo che ascoltarti sarà un altro viaggio nella poesia, nella melodia e nelle note sciolte del sogno. Alessia, per te tutto il successo e le emozioni che meriti.