SERGIO MARCHETTA
Una grandinata più turbolenta che mai sta provando a farmi arrivare in ritardo a un appuntamento. Ma quando si tratta di incontri importanti non esiste fenomeno atmosferico capace di decelerare l’adrenalina. Così arrivo a Vinchiaturo e quando sono davanti alla ‘tana’ di Zaira il temporale ha deciso di smettere. Ad accogliermi arriva prima il sorriso e poi la stretta di mano di questa giovane artista della nostra terra. Entriamo nel suo studio fotografico e il disordine di cui lei si scusa in realtà mi appare come un accogliente equilibrio di colori e toni che fa bene agli occhi. La nostra chiacchierata inizia subito dopo aver condiviso un buon caffè e pochi convenevoli.
Come è avvenuto l’incontro tra te e la fotografia?
“Per me la fotografia è sempre stato un interesse. Ricordo che fin da bambina “sventolavo” le Polaroid di mio nonno; oppure mi divertivo a giocare alla fotografa quando, sempre molto piccola, trasformavamo il negozio di calzature della mamma in un vero e proprio set di posa per modelle in erba. Già da allora si andava definendo la mia predilezione per la fotografia verso “terzi” invece che per l’autoscatto classico. Mi è capitato di ritrovare delle vecchie foto che ho scattato quando ero giovanissima e ho notato che quattro immagini su cinque ritraevano paesaggi; la mia faccia compariva pochissimo. Dunque la fotografia mi ha sempre accompagnata, non c’è un momento preciso in cui ho deciso di farne motivo di vita. Come se alcune scelte quasi casuali ed altre più consapevoli abbiano mutato la mia passione in una professione”.
Ricordi le prime foto che hai scattato con la consapevolezza di essere fotografa?
“Non ricordo tanto una ‘prima foto’ bensì un primo evento che ho documentato e che si è rivelato come una conferma a quella che stava per diventare la mia strada. Ero in viaggio e mi trovavo a Berlino; scatto una serie di foto da un palazzo: di fronte a me una signora anziana, un bimbo e un piccolo cane nel tentativo di attaversare una strada trafficata. Io, dall’alto del balcone da cui osservavo, ho pensato: tre figure emblematiche: un cucciolo indifeso, un bimbo vulnerabile e un’anziana che prova a proteggerli pur essendo consapevole della sua stessa debolezza. Così ho immortalato con una serie di foto questo attraversamento delle tre figure: una sequenza di immagini che mi ha portato anche fortuna essendo stata esposta all’Artefiera di Reggio Emilia”.
Quando una foto ha valore?
“Per me una foto è valida se c’è il giusto equilibrio tra vedere e sentire; un’esperienza spontanea che conduce a fare propria una scena della realtà per poi farne arte attraverso i mezzi di cui si dispone. E’ un concetto che vale per tutte le espressioni artistiche. Un’ulteriore forma di equilibrio da cui non si può prescindere è quella tra la passione e la tecnica. Ovviamente con le dovute eccezioni: mi è capitato di ammirare delle foto tecnicamente sbagliatissime, sporche, irregolari, eppure piene di passione. E’ senz’altro più facile creare un’immagine nitida e tecnicamente perfetta che comunichi poco anziché un’immagine sporca ma penetrante nelle emozioni”.
La fotografia è una forma d’arte che non può avvalersi della parola ma solo dell’immagine per comunicare: pensi che ciò sia penalizzante ai fini del farsi comprendere?
“Penso che questo sia il bello della fotografia: concedere all’osservatore la libertà assoluta di interpretare. E quindi di comprendere”.
Quanto è colorata la fotografia di Zaira?
“Dipende. Ci sono periodi in cui mi lascio affascinare dal bianco e nero; ce ne sono altri in cui prediligo i colori. Tuttavia quando parlo di colori mi riferisco sempre a tonalità tenui, spesso molto vicine al bianco. Non mi avvince l’idea di scattare immagini eccessivamente sature di colori. Preferisco la luce piatta, senza ombre”.
A un certo punto del tuo percorso hai dovuto prendere una decisione e scegliere se confermarti nell’ambito artistico oppure intraprendere una carriera più imprenditoriale.
“La scelta di prediligere la seconda di queste possibilità è stata dettata molto dal ritorno in Molise dopo la mia esperienza a Bologna, una città dalle mille opportunità per chi fa il mio lavoro. Rientrata qui ho aperto una mia attività che da un lato ha reso la fotografia il mio lavoro vero e proprio ma dall’altro mi limita sensibilmente sul fronte dei progetti personali ed extra-lavorativi. Anche se nel prossimo futuro qualche idea particolare si concretizzerà”.
Zaira nella vita personale è un pianeta tranquillo o un’orbita frenetica?
“Decisamente mi definisco esuberante, a tratti caotica. Talvolta preferirei essere più schematica, soprattutto nel lavoro; poi però penso che in fondo il bello di me è che sono come sono”.
Quali sono le doti che tracciano l’identikit del fotografo perfetto?
“Una: il coraggio”.
E la curiosità?
“I miei colleghi uomini, la maggioranza della categoria, viste le poche fotografe in giro, dicono che noi donne siamo agevolate nella fotografia in virtù del nostro senso spiccato della curiosità. Forse è vero; anzi più che di curiosità si tratta di sensibilità”.
Cosa vuol dire modificare una foto per ‘aggiustarla’?
“Oggi il fotoritocco è una pratica molto più diffusa sia sui social e su Instagram che negli studi fotografici veri e propri. Ma in ogni caso appartiene alla fotografia sin dai tempi in cui il digitale ancora non esisteva. Oggi forse c’è un’esasperazione”.
Quale foto desideri scattare e ancora non ci riesci?
“Vorrei andare in Sicilia a fotografare un funerale. Uno di quelli tradizionali della cultura isolana”.
Prima accennavi all’importanza del coraggio. Quanto te ne è servito per aprire il tuo studio?
“Tantissimo. E poi ho dovuto guadagnarmi la fiducia di chi mi stava intorno e che non sempre mi ha supportato. A questo aggiungerei lo sforzo per riscattarmi in quanto donna che ha scelto di intraprendere una carriera tradizionalmente riservata agli uomini”.
Come vedi il tuo futuro?
“Mi vedo in un altro posto, magari sempre qui in Molise, con l’unico obiettivo di guadagnarmi da vivere con le mie immagini”.
Quanto sogna Zaira?
“Io sogno sempre. Anche quando guido”.
E se il sogno fosse una fotografia che soggetto sarebbe?
“Un bambino, forse perchè ho paura di invecchiare”.
Ecco cosa succede ad incontrare persone che vivono di passione vera: ti presenti ad una ragazza dallo sguardo comune e quando stai per salutarla comprendi di aver chiacchierato con una donna dal cuore bambino; quel raro tipo di donne destinate ad invecchiare come tutte le altre ma che hanno ali forti per attraversare sogni e colori. Mi congedo da Zaira con la certezza che la vita le darà sempre il vento migliore dal prossimo progetto (top secret) in poi. Esco fuori e il cielo è sereno.