SERGIO MARCHETTA
Vi è mai capitato di incontrare qualcuno così innamorato di una possibilità da farvi quasi invidia? Anzi, vi domando: ci si può innamorare di una possibilità? Io oggi ne ho avuto la conferma inequivocabile. Seduto su una panchina a ridosso di una siepe (connotati già molto poetici per un incontro) ho intervistato Michele Manocchio. Se dovessi definirne l’essenza in poche parole potrei dire, appunto, che ho davanti un uomo innamorato di una possibilità: quella di poter incarnare la passione di attore varcando la soglia di ogni teatro possibile. E quando si è innamorati di qualcosa o di qualcuno non c’è deterrente che funzioni e, prima o poi, la possibilità diventa occasione ed infine realtà. E’ proprio questa la forza che si legge nel sorriso di Michele: un affamato di teatro. Conosciamolo meglio.
Ti sei recentemente laureato in economia discutendo una tesi in marketing con indirizzo teatrale. Una scelta poco consueta.
“E’ stata una decisione presa per completare il percorso universitario con una modalità particolare che confermasse la mia passione artistica; penso che se non avessi trovato la materia giusta da abbinare al teatro forse non mi sarei mai laureato”.
Sei fondamentalmente rapito dal teatro ma conosci la danza e inoltre hai esperienza di cosa significhi stare dietro le quinte dal punto di vista tecnico. Tutto questo come ha inizio?
“E’ iniziato tutto grazie a mia madre. Nel senso che quando decise di portare la mia sorella minore a scuola di danza anche io mi aggregai. Il saggio a conclusione del primo anno mi segnò come un’esperienza indimenticabile; un ricordo indelebile legato al Teatro Ariston di Campobasso. Ho memoria di tutti gli spazi, degli odori di quel luogo e del momento preciso in cui sono uscito da dietro le quinte per danzare: ricordo il buio totale in platea ma allo stesso tempo la percezione che il teatro fosse pieno. Io frequentavo la scuola di danza quasi esclusivamente in funzione del saggio finale per poter “abitare” sul palcoscenico durante i giorni di preparazione e di messa in scena della manifestazione. Il teatro mi faceva e mi fa tuttora sentire libero. Ho studiato danza dai sei ai quindici anni ma in realtà non l’ho mai abbandonata del tutto. Il passo che mi ha condotto alla recitazione è stata una evoluzione spontanea e naturale”.
Curiosando nella pagina del tuo profilo Facebook mi ha catturato questa frase: “Il teatro si fa, si osserva, si vive”.
“E’ difficile far arrivare a chi ‘osserva’ il teatro da fuori quanto lavoro c’è dietro ogni spettacolo, dietro ogni replica. Nella preparazione di un lavoro teatrale non c’è solo l’impegno per realizzarne la riuscita ma pulsa anche il vissuto dell’attore in quanto persona prima che personaggio. Devi saper vivere il teatro”.
A questo punto gli occhi di Michele assumono un piglio deciso come se volessero trasmettermi con tutta l’intensità quanto la sua passione artistica sia galoppante nelle sue arterie ma, quasi per una sorta di contrappasso delle emozioni, stavolta l’attore non riesce a trasfigurare la verità e ne viene fuori un meraviglioso attimo di commozione che conferma la genuinità istrionica di questo giovane molisano. Emozionarsi non è una debolezza da esorcizzare e il sorriso di Michele è colmo di sincerità quando, con un incedere del tono quasi alla Troisi, ammette:
“Per me il teatro è una cosa talmente importante che non te lo so dire perchè mi sto emozionando solo a parlarne. E il teatro è anche sofferenza emotiva, interiore, sempre”.
Quanto è importante la curiosità per raggiungere l’equilibrio tra fare, osservare e vivere il teatro?
“Tanto, soprattutto curiosare su se stessi; sperimentare e sperimentarsi per poter migliorare. L’attore non è mai uno “arrivato” ma uno in crescita continua”.
Quanto conta invece l’ironia?
“Penso sia fondamentale. Provenendo dalla danza, una disciplina che non si esprime verbalmente ma solo con il corpo, ho deciso di fare anche un’esperienza formativa nella clownerie: il clown dovrebbe suscitare ironia e sorriso senza parole, con la sola mimica. Proprio come spesso è richiesto all’attore”.
Il tuo sogno da curriculum è quello di “vivere serenamente e con dignità riuscendo a lavorare in tutti i teatri d’Italia”.
“Oggi il teatro è notoriamente in crisi e privo di tutele e fondi adeguati. L’Italia è un Paese in cui a partire dalle arti e dalla cultura si potrebbe seriamente improntare una politica economica seria viste le innumerevoli risorse. E da qui poter restituire la giusta dignità agli artisti”.
Che differenza c’è tra ‘essere attore’ e ‘fare l’attore’?
“Questa è una domanda difficile. Quando la sete di successo supera la passione l’arte non può durare a lungo. Se un attore ha passione nel senso autentico del termine recita anche se in sala sono presenti soltanto tre persone e lo fa nel miglior modo possibile; per rispetto di sé e del pubblico”.
E’ importante leggere per poter essere un attore migliore?
“Leggere è importante a prescindere da cosa si voglia essere o diventare. Leggere serve a comprendere”.
Dovendo scegliere tra teatro, cinema e televisione cosa preferiresti?
“Il teatro tutta la vita”.
C’è un’esperienza professionale che ricordi con maggiore predilezione?
“Sicuramente quella legata al musical ‘La Bella e la Bestia’. Attraverso questa forma teatrale ho avuto anche la possibilità di poter integrare nel mio repertorio la formazione al canto. Grazie alle lezioni del maestro Agostino Trotta ho scoperto che nessuno nasce stonato e che tutti possono imparare a cantare. Io ci ho creduto e ho imparato”.
Hai un riferimento particolare nel campo teatrale che ti stimola nel coltivare la tua formazione?
“Senza dubbio Massimo Troisi: sorridere per dare serenità”.
Troisi dava molto spazio all’improvvisazione. A te piace recitare senza copione?
“La base dell’improvvisazione è l’esperienza. Personalmente ancora non mi sento pronto ad improvvisare; è tutto un lavoro di studio e di tempi teatrali da rispettare. Magari tra qualche anno sarò a buon punto”.
Perchè esistono pochissimi corsi di teatro nelle scuole?
“Io stesso mi sono avvicinato al teatro da piccolo. Sarebbe fondamentale portare la recitazione nelle scuole e i ragazzi nei luoghi dove gli attori svolgono il proprio lavoro. Educare al teatro per educare alle emozioni”.
In che condizioni versa il mondo del teatro molisano al quale tu appartieni?
“Fondi scarsi. Teatri che chiudono. Situazione drammatica. Negli ultimi vent’anni tutto il mondo dell’arte è precipitato e sarà difficile recuperare. Un teatro chiuso con disinvoltura non si riapre con altrettanta facilità”.
Avremo mai modo di conoscere Michele Manocchio in qualità di autore teatrale?
“Una delle difficoltà che incontro è quella di esprimere le mie idee personali attraverso la scrittura. Ho buttato giù tante cose ma le tengo da parte. Forse ancora per poco, chissà”.
Immagini mai te stesso tra dieci anni?
“Mi immagino probabilmente lontano da questa terra, purtroppo. Per crescere occorre cercare altrove. In ogni caso tra dieci anni mi vedo lavorare in un teatro, magari anche solo come direttore di sala ma pur sempre in teatro”.
L’intervista ufficiale si chiude qui, con quest’ultima risposta che cede il passo al sorriso e alla speranza. In realtà mi sono trattenuto con Michele qualche altro minuto. Quanto è bastato per avere la conferma della sua trasparenza, della sua versatilità e della sua lugimirante vena artistica. Manocchio è un uomo che sa bene ciò che vuole; il resto attendiamo di ammirarlo da questo palco in poi.