SERGIO MARCHETTA
Nel momento stesso in cui incontri Carol Guarascio comprendi che appartiene a quell’universo di persone invidiabili che non si lasceranno mai definire; persone che fanno della propria sana timidezza un’arma di connessione di massa. Puoi provare a curiosare tra le parole dal tono esile ma fermo che le riempie mentre parla, puoi tentare di forzare le imposte della sua docile riservatezza, ma proprio quando ti sembra di aver cominciato a conoscerla capisci che i forzieri degli scrittori non si possono aprire mai dall’esterno.
E Carol è una penna che non inciampa sui righi.
Come si concilia il carattere eroico, quasi mitologico che avvolge la figura del poeta con la quotidianità di una donna che vive di cose normali?
“Il bello è se riesci a scrivere cose normali e a vivere eroicamente il quotidiano. Io mi sto allenando”.
Da qualche mese hai dato alle stampe ‘Il cassetto dei foulard’ (Taolos ed.), una raccolta di poesie che contiene una sessione “botanica”. Quanta ispirazione può racchiudere una pianta, un fiore, una foglia?
“Le piante aromatiche, più che i semplici fiori, mi hanno sempre affascinata per il fatto di essere utili oltre che odorosissime. Molte delle piante che abitano i nostri giardini hanno una storia che parte da lontano, erano sacre agli dei, erano usate nei rituali o cariche di valori simbolici. Tutte qualità fortemente poetiche. Come il mirto. Oops, non ho ancora scritto una poesia sul mirto… Lo farò!”
Ti sei fatta conoscere recentemente come poetessa ma questa è solo una sfaccettatura della tua espressività. Nei cassetti di Carol fermenta anche altro…
“In effetti, ad un certo punto della mia vita ho sentito l’esigenza di sperimentare un lavoro in prosa… Un romanzo, insomma… È un’esperienza molto diversa dall’atto poetico, che di per se è immediato e travolgente, perché la creazione di un romanzo presuppone calcolo, equilibrio, logica. Alla fine, ho scelto di narrare la storia di una poetessa (quindi, non mi sono allontanata più di tanto dal mio immaginario) vissuta un bel po’ di secoli fa, Sulpicia, e ho cercato di attenermi alle notizie che possediamo su di lei, riservando uno spazio alla mia immaginazione solo negli ultimi capitoli”.
Come deve essere una poesia per meritare di finire in una tua raccolta?
“Innanzitutto non deve essere composta in decasillabi, perché il decasillabo è un metro che non mi piace! E poi deve contenere immagini che siano quanto più vivide possibile. Tracce di vita, di materia, per quanto inconsistenti come può essere inconsistente un foulard. La poesia non deve disancorarsi dalla realtà completamente, perché altrimenti sarebbe inerte”.
In questo periodo stai promuovendo il progetto ‘Libero Leggio’, dedicato agli amanti della parola scritta. Di cosa si tratta?
“Il progetto nasce da un’idea di Teresa Mariano e vuole dare uno spazio simbolico e anche fisico a chi ha voglia di mostrare le proprie qualità artistico-letterarie. Nel mese di agosto poi, con la presenza di Vincenzo Costantino Cinaski come presidente di giuria, daremo il via al primo ‘Festival della Parola’ che vedrà concorrere tutti gli artisti che hanno partecipato a Libero Leggio. Sono davvero contenta di questa opportunità che mi è stata data, perché mi piace l’idea di poter creare “connessioni” e incontrare artisti e scrittori”.
Ti capita mai di strappare qualche foglio dopo aver scritto?
“Sarò all’antica ma considero il momento creativo estremamente carico di sacralità e di ritualità. Quindi non ho mai cancellato o stracciato niente perché sono convinta che di quello che scrivo deve restare sempre una traccia. Anche chiusa in un cassetto. Solo una volta ho dato alle fiamme un quadernetto blu che non aveva più ragione di esistere. Ammetto che è stato molto molto terapeutico”.
C’è un verso che hai scritto e a cui sei particolarmente affezionata?
“E trovo solo un solco più profondo tra la vita e la vita: mi volto dalla parte della vita”.
“Ogni scelta che facciamo, anche se sbagliata o dolorosa, è comunque una scelta che va nella direzione della vita. Anzi, forse proprio in quel momento, in cui abbiamo una grossa responsabilità nei suoi confronti, la vita la sentiamo scorrere con più energia dentro di noi”.
Esistono cose che non si lasciano scrivere?
“Certo, per esempio l’odore di casa mia o la luce di casa mia. Per quanto io mi sforzi, non riuscirò mai a scriverci su, ma va bene così”.
Ti consideri una poetessa del corpo o dello spirito?
“Ecco, mi piacerebbe molto essere una poetessa del corpo, ma credo che io sia più propensa a mettere nei miei cassetti i moti dello spirito. Forse ho ancora qualche residuo di quella timidezza che mi porto addosso da sempre e che non mi permette di essere, ancora, del tutto libera di parlare di oggetti corposi e corporei. Ma provvederò”.
Esistono poesie bugiarde?
“I poeti, che strane creature. Ogni volta che parlano è una truffa, cantava De Andrè. E in effetti non sempre ci si può fidare dei poeti, anche perché non è necessario e nemmeno così scontato che dicano sempre e comunque la verità. E quindi i poeti possono essere bugiardi. Ma la poesia no. Almeno non quella vera”.
Cosa è l’ispirazione?
“L’ispirazione è uno stato di trance in cui devi solo rimettere insieme delle parole che si stavano cercando da tempo”.
E il silenzio?
“Il silenzio è il liquido amniotico in cui galleggia la poesia”.
Sei un’insegnante di materie letterarie in un liceo molisano: secondo te in che condizioni versa la poesia nella scuola di oggi?
“Paradossalmente, ho l’impressione che la poesia oggi tra i giovani se la passi meglio della narrativa perché la sua immediatezza e la sua brevità, insieme al simbolismo che per lo più la caratterizza, sono considerati accattivanti e stimolanti dai ragazzi. Nei programmi scolastici c’è tanta poesia che purtroppo non corrisponde più alle aspettative e ai gusti dei nostri alunni e, inaspettatamente, altra poesia che forse davvero possiamo considerare immortale, perché desta ancora tanta tanta suggestione. Evviva!”
Nei tuoi versi prevale il presente, il passato o il futuro?
“Premesso che la nostalgia è un sentimento che non mi appartiene e che raramente ho sperimentato sulla mia pelle, tendenzialmente colloco le mie ambientazioni poetiche, se così si possono chiamare, nel presente e uso i tempi verbali al presente perché così ho l’impressione che quell’emozione, quella sensazione che racconto non vadano a scivolare mai in alcun oblio. Il futuro è però ciò verso cui lancio lo sguardo e a cui ammicco”.
Quanto pesa una parola?
“Le parole sono pietre, sono macigni che lasciano solchi profondi, ma hanno bisogno di orecchie. Altrimenti, le parole sono fumo”.
Hai mai pensato di smettere di scrivere?
“L’ho pensato e l’ho anche fatto, ma poi ci sono sempre ricascata. Scrivere mi permette soprattutto di “anagrammare la mia storia” e ridare senso a tante cose. No, per adesso, credo che non smetterò”.
Anche questo incontro volge al termine e ancora una volta abbiamo imparato ad ascoltare l’arte. Certo, non siamo tutti poeti ma la poesia abita in tutti i nostri giorni. E dovremmo ringraziare continuamente chi esprime il sogno e la vita nei versi che compone. Oggi l’inchino di gratitudine più sincero va a Carol Guarascio e al suo ingegno poetico sempre autorevole e mai invadente che dispenserà ancora emozioni dai suoi cassetti.