Quando anni dopo me ne offrirono uno qui a Campobasso, subito “la nostalgia mi avvolse come miele” (Guccini non lo amo, ma qui ci sta) e accettai di buon grado; immaginatevi ora la mia indignazione quando mi vidi portare un bicchiere rock grande, pieno di ghiaccio e con questo beverone arancione, per di più allungato con l’acqua frizzante. Il noto spot imperversava da tempo, ma io chissà perché non ci avevo pensato e mi aspettavo l’amato calicetto; ma non c’era niente da fare: lo spritz, per tutti, era ormai l’Aperol Spritz.
Ci tengo a chiarire che non voglio fare lo snob; quella resa famosa dalla pubblicità è effettivamente una delle ricette dello Spritz usate in Veneto, e tutto sommato non è affatto male, ma si tratta, appunto, di una variante. Lo Spritz ha una tradizione praticamente secolare alle spalle e le sue versioni non sono poche: per ovvie ragioni di spazio mi limiterò ad elencare le più importanti, anche perché sono quelle che ho bevuto personalmente.
Lo Spritz, a Padova e Venezia si fa molto spesso con il Select, bitter locale quasi introvabile altrove, leggermente più dolce del Campari e altrettanto spesso (specialmente quando si vuole dimostrare una certa veracità) si usa il bianco fermo e non il prosecco; si aggiunge poca soda (ma c’è chi non ce la mette proprio) se non semplice minerale frizzante o addirittura acqua liscia. Niente ghiaccio, quindi e questo agli occhi di un barman può sembrare una bestemmia, ma quelle di cui stiamo parlando sono fondamentalmente correzioni dell’ombrina de vin, il vinello (in questo caso bianco) servito nel tipico bicchiere sfaccettato da osteria: tutto nasce da li. Senza entrare nel merito di varianti modaiole più o meno discutibili (come quella al kiwi e simili) viene a questo punto da chiedersi cosa definisce tale uno spritz; da quanto detto finora, la risposta potrebbe essere questa: un bianco fermo o frizzante (ripeto, il prosecco non è obbligatorio) allungato (ma anche no) con soda, con acqua minerale addizionata di CO2 ( che poi è la stessa cosa in forma diversa; io amo molto la Perrier, definita dal grande Frank Zappa “acqua con scorregge di elefante”) o ancora, frizzante naturale oppure liscia (l’importante è che non sia tonica; questo vale anche per il mojito e l’americano: quando in questi casi il barman apre la bottiglietta della tonica girate i tacchi e andatevene); ultimo ingrediente è il correttore, aggiunto quindi in piccole dosi, a scelta tra i tre citati, se si vuole stare nella tradizione: altrimenti sono da provare anche Rabarbaro, Cynar (ottimi) o quanto altro il vostro talento in fatto di miscelazione vi suggerisca . Attenzione però perché qui casca l’asino: infatti non abbiamo ancora parlato del progenitore di tutti gli spritz, quello di Trieste: vino bianco fermo, acqua liscia e una scorzetta di limone. Proprio così; lo spritz nasce come vino bianco annacquato e, se non vi fidate di internet come me, sappiate che ho sangue triestino e vi posso assicurare che in molti bar della città dell’alabarda si beve ancora così.
Per chiudere, mi viene anche da dire che un aperitivo simbolo della città di Milano, il bianchin sprussà, bianco fermo con una goccia di Campari (servito anche in caraffa), sarebbe a questo punto nient’altro che uno Spritz. Ma provate a dirlo a un milanese.