Profumi delicati in grado di giocare tra fiori e frutta, apprezzata bevibilità capace di non sciupare l’eleganza di un vino che da sempre è sulle tavole alto atesine e che, a dispetto di quanto spesso si crede, può abbinarsi con la fantasia degli chef e tanti altri prodotti del Belpaese. A fare da protagonista del secondo incontro dedicato all’Alto Adige, promosso dalla Fondazione Italiana Sommelier Molise, è stata la Schiava. Accanto a lei, il Lagrein, altro vitigno autoctono con un’espressione del tutto differente.
Questa volta a condurre questo nuovo ed entusiasmante viaggio nelle zone del Lago di Caldaro, insieme alla docente della Fondazione, Maria Clara Menenti, è stato l’enologo della cantina Kaltern, Andrea Moser.
Dalle versioni classiche a quelle più moderne, dalle espressioni che derivano da vitigni molto vecchi, fino a un invecchiamento di dieci anni a dimostrazione di come la Schiava sappia conservare bene i propri anni. Il tutto suddiviso in ben 14 vini differenti, ognuno dei quali capace di esprimere un’identità del tutto diversa dalle altre.
Quando nella difficile annata del 2014 Moser arrivò in azienda fu alla guida di una riforma del panel dei vini “perché – ha raccontato – volevamo puntare sulla qualità e focalizzaci su alcune qualità poco conosciute. In Alto Adige, un territorio in cui la vite si coltiva dai 200 ai 700 metri di altitudine e con esposizioni differenti, c’è la possibilità di produrre tantissimi vitigni e farlo con ottimi risultati. Lo continuiamo a fare, cercando di dare rilievo proprio alle varietà meno conosciute altrove, che però meglio incarnano l’identità del territorio”. Ed è questo il caso della Schiava, essendo la zona del Lago di Caldaro un’area molto predisposta per i rossi, mentre sul bianco si punta molto sul Pinot e sul Souvignon che, come ha ricordato Moser “nel nostro territorio danno davvero il meglio”.