L’influenza esercitata dalla cultura araba ha completamente rivoluzionato il modo di fare matematica, gettando le basi per la nascita della matematica moderna.
Infatti, la matematica che si è diffusa nell’Occidente latino, e in particolare in Italia, a partire dal 1200 fino a tutto il Rinascimento è stata principalmente di tipo algebrico, la cosiddetta “Cultura dell’abaco”.
È in questo ambiente che nasce Niccolò Tartaglia, uno dei massimi esponenti tra i matematici del Rinascimento. A lui si deve uno dei risultati più importanti della matematica dell’abaco: la formula di risoluzione dell’equazione di terzo grado.
Molte storie si raccontano riguardo alla scoperta di tale formula ed esse sono dovute all’incredibile fama che Niccolò Tartaglia raggiunse già all’epoca.
Si racconta, infatti, che Niccolò fosse molto geloso delle sue scoperte e dopo aver trovato come risolvere un’equazione di terzo grado abbia tenuto il segreto per sé, nel timore che qualcuno potesse diffonderlo attribuendosene il merito. È così che nacque una disputa con un famoso medico esperto di matematica di Milano, Gerolamo Cardano, il quale era in procinto di pubblicare un trattato di algebra. Quest’ultimo invitò lo stesso Tartaglia nell’attuale capoluogo lombardo per farsi confidare l’ambita formula e ci riuscì promettendo di non divulgarla.
Non fu facile, ovviamente, convincere Tartaglia, il quale quando cedette lo fece scrivendo la formula in un linguaggio oscuro alla matematica: quello della letteratura. Realizzò una poesia in terzine dantesche di endecasillabi a rima incatenata, in cui nascose i simboli necessari per ricostruire la formula:
Alla fine, però, Cardano riuscì a decifrare tale codice e al primo pretesto possibile pubblicò la formula di Tartaglia che lui stesso aveva contribuito a migliorare, aiutato da Ludovico Ferrari, suo allievo (anche se, onestamente, non se ne attribuì tutto il merito).
Quindi come dice il proverbio: fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio!
Alessandro La Farciola