Unioni civili e stepchild adoption, regna la confusione a causa di una informazione incompleta. Una guida al disegno di legge Cirinnà su cosa realmente disciplina

CRISTINA SALVATORE

“Siamo due milioni” hanno annunciato, dal palco del Circo Massimo a Roma, gli organizzatori del Family Day. Cifre che cambiano di ora in ora e di cui difficilmente si potrà avere una conferma reale e veritiera, come spesso accade in queste occasioni.

Il dato di fatto è che una partecipazione massiccia c’è stata anche se non tutti coloro che hanno affollato il Circo Massimo per dire no al tanto discusso disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili e la stepchild adoption, effettivamente, avevano ben chiaro di cosa esso trattasse realmente, considerando che la quasi totalità degli striscioni mostrava la scritta “i figli hanno diritto di avere un padre e una madre”.

Per fare chiarezza, il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili tratta dei diritti e dei doveri delle coppie omosessuali che vogliono unirsi civilmente e delle coppie eterosessuali e omosessuali che non vogliono sposarsi, ma solo registrare la loro convivenza. Ecco una chiara spiegazione:

“Il disegno di legge è diviso in due capi e ventitré articoli. Il primo capo inserisce nell’ordinamento giuridico italiano l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso come “specifica formazione sociale”, secondo quanto previsto dall’articolo 2 della Costituzione. Il secondo capo disciplina la convivenza di fatto, tra una donna e un uomo e tra due persone dello stesso sesso.

La legge inserisce nel diritto di famiglia un nuovo istituto specifico per le coppie omosessuali, chiamandolo unione civile, diverso dal matrimonio regolato dall’articolo 29 della Costituzione, ma che si può equiparare al matrimonio per diritti e doveri previsti. Per stipulare un’unione civile, le due persone devono essere maggiorenni e recarsi con due testimoni da un ufficiale di stato civile. L’ufficiale provvede alla registrazione. Non possono contrarre l’unione civile persone già sposate o che hanno già contratto un’unione civile; persone a cui è stata riconosciuta un’infermità mentale o persone che tra loro sono parenti.

Cosa succede con l’unione civile?
Le due persone che hanno contratto l’unione civile devono indicare che regime patrimoniale vogliono (comunione legale o separazione dei beni), un indirizzo di residenza comune e possono assumere un cognome comune che può anche sostituire o affiancare quello da celibe o nubile.

Quali sono i diritti e i doveri conseguenti all’unione civile?
Come nel matrimonio, “le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dall’unione civile deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute a contribuire ai bisogni comuni”. Per sciogliere l’unione civile si deve ricorrere al divorzio.

Quali sono i diritti e i doveri verso i figli?
Nell’articolo 5 del disegno di legge è prevista la possibilità di adottare il figlio o la figlia del proprio coniuge. È la cosiddetta Stepchild Adoption, letteralmente “adozione del figliastro”. Il disegno di legge non dà accesso all’adozione di bambini che non sono figli di uno dei due coniugi, né alla gestazione per altri.
 Questo punto è quello più controverso dell’intero ddl, perciò va spiegato nel dettaglio:

La stepchild adoption non è né una novità, né una prerogativa gay. Esiste in Italia dal 1983 una legge, la numero 184, e permette l’adozione del figlio del coniuge, con il consenso del genitore biologico, solo se l’adozione corrisponde all’interesse del figlio, che deve dare il consenso (se maggiore di 14 anni) o comunque esprimere la sua opinione (se di età tra i 12 e i 14). L’adozione non è automatica ma viene disposta dal Tribunale per i minorenni dopo un accurato screening sull’idoneità affettiva, la capacità educativa, la situazione personale ed economica, la salute e l’ambiente familiare di colui che chiede l’adozione.

L’adozione da parte del convivente.
Sino al 2007, era ammessa solo per le coppie sposate: il Tribunale per i minorenni di Milano prima e quello di Firenze poi, hanno esteso questa facoltà anche ai conviventi eterosessuali, ritenendo, in quei due casi, che fosse interesse del minore che al rapporto affettivo fattuale corrispondesse anche un rapporto giuridico, consistente in diritti ma, soprattutto, doveri.

L’orientamento sessuale non impedisce l’adozione.
Nel 2014 e nel 2015, il Tribunale per i minorenni di Roma, ribadendo il principio giuridico consolidato e in linea con tutta la giurisprudenza italiana (dai Tribunali alla Cassazione) ed europea, ha sancito che l’orientamento sessuale dell’adottante non può costituire un elemento ostativo alla stepchild. In entrambi i casi il Tribunale aveva verificato, con estrema attenzione, che la convivente donna della mamma biologica non solo aveva maturato un legame affettivo intenso con il minore, ma aveva tutte le carte in regole per poter essere un buon genitore anche sotto il profilo giuridico (visto che già lo era nella pratica di tutti i giorni); capacità genitoriali (sembra un’ovvietà) che non potevano certo essere invalidate dall’orientamento sessuale.

Il disegno di legge Cirinnà prevede (articolo 5) la stabilizzazione della sopra indicata linea giurisprudenziale: se approvato, il componente dell’unione civile continuerà ad avere la facoltà di chiedere l’adozione del figlio biologico del partner; sarà sempre necessario il consenso del genitore biologico e sarà sempre il Tribunale per i minorenni a stabilire – caso per caso – se l’adottante ha le carte in regola e se l’adozione corrisponde all’interesse del figlio. Eventuali modifiche dell’articolo 5, dunque, (l’affido rafforzato, ad esempio) avrebbero come effetto non quello di bloccare una novità, ma di continuare a rendere inaccessibile, in via generale ed astratta (nei casi oggetto di esame da parte dei Tribunali tale inaccessibilità viene rimossa, se ciò è a tutela del minore), un istituto a tutela del minore per coppie formate da persone dello stesso sesso.

Nel secondo capo della legge si parla, invece, del riconoscimento della convivenza di fatto tra due persone dello stesso sesso o di sesso diverso.

La convivenza di fatto è riconosciuta alla coppie di maggiorenni che vivono insieme e che non hanno contratto matrimonio o unione civile. I conviventi hanno gli stessi diritti dei coniugi in caso di malattia, di carcere o di morte di uno dei due.

Ciascun convivente può designare l’altro come suo rappresentante in caso di malattia o di morte. Se muore quello dei due che ha la proprietà della casa, il partner ha il diritto di restarci per altri due anni o per il periodo della convivenza se superiore a due anni, comunque non oltre i cinque anni. Se nella casa di convivenza comune vivono i figli della coppia o i figli di uno dei due chi sopravvive alla morte dell’altro può rimanere nella casa comune per almeno tre anni. Il convivente superstite ha il diritto di succedere all’altro nel contratto d’affitto, se la casa non era di proprietà. I conviventi possono stipulare un contratto di convivenza per regolare le questioni patrimoniali tra di loro.

Il contratto di convivenza può essere sciolto per accordo delle parti, recesso unilaterale, matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra uno dei conviventi e un’altra persona e morte di uno dei contraenti. In caso di scioglimento del contratto il giudice può riconoscere a uno dei due conviventi il diritto agli alimenti in misura proporzionale alla durata della convivenza.

Adesso, considerando che in tantissimi Paesi dell’Unione Europea (e del mondo) il diritto è andato di pari passo con le esigenze della popolazione e con l’evolversi dei costumi sociali, quello che di civile è stato fatto è proprio cercare di non nascondere l’esistenza di differenti modi di concepire un’unione o una famiglia ma di adeguarsi e trovare il giusto compromesso  affinché tutti  abbiano gli stessi diritti.

 

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