Stellantis, Fiom, Usb, Soa e Flmu: “Quale futuro per lo stabilimento di Termoli?”

A distanza di un paio di settimane dalla visita del Ceo di Stellantis, Carlos Tavares, allo stabilimento di Termoli, restano fortissimi i dubbi degli operai sul loro futuro occupazionale. Sin dall’estate scorsa, si sono sprecati fiumi di parole e promesse per convertire l’impianto di Rivolta del Re da produttore di meccaniche a gigafactory, ovvero centrare tutto sulla produzione di batterie elettriche per auto, creando il terzo polo europeo dopo quelli di Francia e Germania.

Quali i problemi? Partiamo dalle dichiarazioni di Tavares per il quale il futuro dello stabilimento adriatico è vincolato ai fondi del Pnrr. Gira e rigira, la promessa fatta mesi fa di puntare sul Molise è ora in sospeso, stante la possibilità di scucire ulteriori danari proprio col Pnrr; non c’è null’altro dietro la dichiarazione “stiamo trattando col governo”! Passano gli anni ma la musica non cambia, il ricatto padronale è sempre lo stesso, “dateci i soldi e manteniamo il livello occupazionale” … forse! Già, forse! Tali affermazioni cadono in un contesto difficile. Da anni, difatti, lo stabilimento termolese è oggetto di cassa integrazioni, ammortizzatori sociali, turn-over, pensionamenti anticipati che hanno portato ad una perdita di centinaia e centinaia di posti di lavoro solo negli ultimissimi anni! Ciò mentre in Italia manca una strategia, un coordinamento generale del settore, il dialogo fra le parti, all’opposto di quanto registriamo in altri nazioni europee dove da tempo si sono intraprese le iniziative necessarie per la riconversione delle linee produttive!

Ma non è tutto: come denunciato dall’Usb Molise “in fabbrica sono stati chiusi molti bagni, una mensa, tolti i secchi dell’immondizia e si trovano addirittura sforniti i distributori di mascherine” e nonostante, continua il comunicato “che il Molise stanziò soldi pubblici, per tenere in piedi lo stabilimento e i posti di lavoro che l’alluvione aveva distrutto”. Rincara la dose il Soa, altro sindacato non confederale molto attivo sul territorio: “dei circa 2500 lavoratori attualmente in organico circa 1500 sono parcheggiati in cassa integrazione. Fra questi, guarda caso, quelli più combattenti, che da un paio di anni a questa parte hanno lavorato a singhiozzo, per usare un eufemismo”.

Questa la situazione all’oggi. Ma perché tale caos? Con la nascita di Stellantis, per i padroni si è posto il solito problema di come abbattere i costi e aumentare i profitti: ovviamente con tagli al personale e spremere chi resta, o, in linguaggio liberista, “miglioramento della produttività”! Bisognava poi darsi anche una patina accattivante, di azienda moderna, da capitalismo ecofriendly. E qua sta il nocciolo della questione.

Se negli anni passati a Rivolta del Re erano attivi vari settori di meccanica, questi sono stati dirottati in Polonia o Turchia dove lo sfruttamento intensivo, legalizzato da governi ultraliberisti, consente di produrre senza tanti grattacapi sui diritti dei lavoratori. Ergo, meno meccanica, no a nuovi prodotti, delocalizzazioni e centrare tutto sulle batterie elettriche a zero emissioni! Tale nuova visione di filiera industriale comporta però che la massa di operai richiesta dalle precedenti produzioni risulti eccedente per gli standard attesi. Una riconversione che centra poco con la difesa dei posti di lavoro o dell’ambiente. La verità è che l’elettrico è un affarone dato che i margini di profitto per unità sono superiori a quelli delle tradizionali auto a combustione interna! Inoltre, continua il Soa, “ci vorrà tempo prima che questi modelli avranno un peso rilevante sulla torta del mercato. I costi sono ancora alti e senza alternative produttive, che faranno le maestranze? Poi, col mercato elettrico ridotto come sappiamo, non c’è il rischio che lo stabilimento possa essere sacrificato, in caso di crisi, per mantenere l’operatività delle gigafactory in Francia e Germania, considerati i rapporti di forza?”. Ci permettiamo anche di aggiungere un altro punto. Abbiamo visto che è bastato un intoppo nelle catene produttive e distributive intercapitalistiche ed ecco che sono mancati sui mercati i semiconduttori, lavorati e semilavorati!

In tale scenario, gli operai e i loro rappresentanti, in particolare quelli di Flmu, Soa, Usb, Fiom (che pure sui è pronunciata duramente a riguardo) hanno ben ragione di temere per il futuro e pretendere risposte certe dal mondo imprenditoriale e politico.

In conclusione, con questa anarchia produttiva tipica del capitalismo, con tutte le variabili del caso, senza una seria visione d’insieme del rapporto produzione, lavoro, diritti, come si può attuare una seria politica industriale? Si comprende o no la tremenda complessità e, insieme, fragilità del settore? Il problema è sempre lo stesso: fin tanto che manca il coinvolgimento diretto e totale dei produttori sull’intero processo produttivo, la situazione sarà sempre critica. Nell’attesa che maturino le condizioni affinché la classe operaia sarà la sola a decidere del proprio futuro, resta la battaglia presente di mobilitare, sulla scorta di quanto stiamo vedendo con la GKN, non solo gli operai termolesi ma con essi, la cittadinanza intera, le forze sindacali e sociali per la difesa del posto di lavoro! Una battaglia, siamo certi, che vedrà gli operai termolesi in prima linea e il PMLI, assieme agli altri partiti del coordinamento delle sinistre, al loro fianco!

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