Nicola Messere, responsabile organizzazione PD Molise commenta la scissione dell’ex premier Matteo Renzi. Una scissione che non condivide e che, per l’esponente dem molisano, trova come unica ragione la voglia di essere un leader dell’ex primo cittadino di Firenze. Messere, ci tiene inoltre a ribadire come il PD rimanga la sua casa. Nello stesso tempo, però, Messere si dice convinto che, come già avvenuto in passato, anche questa volta, l’attuale gruppo dirigente non abbia fatto abbastanza per tenere dentro Renzi.
“Sono stato da sempre convinto che il Partito Democratico dovesse rappresentare la svolta maggioritaria per il nostro Paese a sostegno di una nuova stagione di Riforme e una collocazione più forte in Europa. Quando è nato ho avuto forti perplessità, tanto da essere uno dei promotori della terza mozione, quella di Gavino Angius che metteva in evidenza il rischio di una fusione a freddo di due storie politiche se pur importanti del nostro Paese. Ho sostenuto molto battaglie del mio PD, – ricorda Messere – non ultima quella del referendum costituzionale che, ove fosse passato, per quanto mi riguarda avrebbe consentito di guardare un altro film. Espressi molte perplessità nei confronti del gruppo dirigente a guida Renzi quando non si fece abbastanza per evitare la prima scissione del PD e ritengo che nemmeno adesso il gruppo dirigente attuale ha fatto abbastanza per tenere dentro Matteo Renzi”.
“Detto ciò – afferma l’esponente dem – non condivido assolutamente questa scissione con la nascita di un nuovo soggetto politico e con la costituzione di nuovi gruppi alla Camera e al Senato da parte proprio di Matteo Renzi, oltre alla sua legittima ambizione di essere un leader non trovo altre nobili motivazioni. Le divisioni hanno sempre penalizzato il campo del centrosinistra, e anche chi lontanamente immagina (come me) che alla fin fine potrebbe essere una cosa positiva, sbaglia”.
“Quello che ci vuole – commenta ancora Messere – è un grande scatto di orgoglio da parte del PD, più inclusivo, che parli a tutti ed in modo particolare alle nuove categorie sociali, produttive con una grande voglia di parlare di lavoro, ma anche di come lo stesso si rilocalizza. Insomma o si cambia o si muore e se questo avverrà il problema non sarà per i dirigenti ed eletti del nostro partito (probabilmente non avranno più un ruolo) ma del nostro Paese che rischierà seriamente una deriva molto pericoloso. Quindi ci vuole coraggio e cambiare passo, non basta occupare ruoli istituzionali e governare, ci vuole anche la presenza radicata tra la gente per raccogliere, bisogni, angosce, aspettative dei cittadini e tramutarle in azioni politiche”.
“Il PD non è solo la mia casa, il PD non è solo la speranza per l’Italia ma la forza che incarna quelle tradizioni politiche che ci consentono ancora oggi di godere della democrazia, parlo delle migliori esperienze del cattolicesimo democratico del socialismo democriteo e di quella del partito comunista italiano. Non è più il tempo di chi ha utilizzato il PD come taxi, è il tempo delle passioni, delle relazioni, della responsabilità e della voglia di riscatto della Politica a danno delle autoreferenzialità. Sbaglia chi dice che il PD ha perso perché non ha guardato abbastanza al centro, il PD ha sbagliato a non mantenere una organizzazione capace di selezionare classi dirigenti e non di nominarle.
“Il segretario nazionale Nicola Zingaretti – conclude – ha detto ora cambio il PD, ho letto l’idea e mi piace molto, spero potrà essere enfatizzata, rafforzata e condivisa con un grande evento nazionale dove chiamare tutti i democratici italiani”.