Dopo il ‘Caracciolo’ di Agnone, anche al ‘San Timoteo’ di Termoli si è registrata la chiusura del bar all’interno della struttura sanitaria. E, in questi giorni, chiudono addirittura i distributori automatici. Ad ottobre scorso l’utenza altomolisana è stata privata del servizio di ristoro ed oggi l’identico destino spetta ai cittadini del basso Molise. Cittadini privati anche del servizio prenotazioni Cup nei giorni di festa. La notizia dell’ennesima chiusura – e degli assurdi disservizi – mi spinge a formulare una domanda ai vertici dell’Asrem. A scriverlo, in una nota, è il consigliere regionale pentastellato Andrea Greco.
In particolare, mi rivolgo al Dg Oreste Florenzano, che da anni ormai, con risultati assai scadenti, gestisce la sanità pubblica: se non si riesce a mantenere aperto un semplice servizio come un bar, come si possono garantire i più complessi Livelli Essenziali di Assistenza?
Di fatto la chiusura del servizio di ristoro del San Timoteo certifica, laddove ce ne fosse bisogno, il totale fallimento di un modo di agire e prendere decisioni, che dovrebbe spingere Florenzano a farsi da parte. Gli suggerisco le dimissioni, dopo aver fallito gli obiettivi fissati da chi l’ha nominato, il presidente Toma. Obiettivi a cui si è aggiunto, in emergenza, il centro Covid (poi individuato nella torre del Cardarelli), anch’esso irrealizzato. Così come non è stata soddisfatta l’esigenza di reclutare personale medico, tanto per l’emergenza pandemica che per le necessità ordinarie.
Ma la lista dei fallimenti di Asrem è lunga, anzi interminabile. E riporta al centro dell’attenzione la totale assenza di investimenti sulla formazione del personale e l’inesistente capacità di engagement.
Ed ancora, in questo scenario assai preoccupante, assistiamo alla riduzione dei punti vaccinali. Eppure, con meno di 300.000 abitanti, il Molise doveva essere la prima regione in Italia a raggiungere l’immunità di gregge. Impossibile, inoltre, non ricordare la condizione di interi reparti, che rischiano la chiusura per consunzione perché privi di forza lavoro e tecnologie. Potrei continuare per ore e citare, ad esempio, le due sale operatorie del ‘Caracciolo’, costate fior di quattrini e mai utilizzate. Oppure la nostra richiesta, ignorata più volte, di utilizzarle per snellire le antipatiche liste di attesa per gli interventi chirurgici di bassa entità.
L’incapacità di dare nuova linfa al settore pubblico della nostra sanità è emblematica. Il tutto a vantaggio di chi, in questo scenario caotico, continua a lottizzare il sacrosanto diritto alla salute. Naturalmente, ogni riferimento è puramente casuale.