L’intervento neurochirurgico per l’asportazione di un tumore cerebrale può essere condotto con metodiche mininvasive, capaci di garantire lo stesso successo di asportazione radicale rispetto alle tecniche tradizionali ma con netti vantaggi per il paziente.
È il risultato di uno studio condotto dall’equipe del professor Sergio Paolini, Responsabile della Neurochirurgia 3 dell’I.R.C.C.S. Neuromed in collaborazione con il Dipartimento di Epidemiologia dello stesso Istituto, pubblicato sulla rivista scientifica Neurosurgical Review. Basato sull’esperienza degli interventi chirurgici condotti dallo stesso gruppo, lo studio ha messo a confronto 306 casi tra pazienti operati in modalità mini-invasiva ed altri in cui l’intervento era stato condotto con metodica classica. Come viene evidenziato nella pubblicazione, gli autori hanno mostrato che i risultati in termini di asportazione del tumore sono comparabili. Ma i vantaggi per il paziente sono molto superiori con la tecnica mininvasiva, a cominciare dai tempi più brevi dell’intervento e del recupero postoperatorio. Questo si traduce in un netto miglioramento nella qualità di vita, ma non solo: grazie a una dimissione più rapida, il paziente ha la possibilità di iniziare più precocemente l’eventuale radioterapia successiva all’intervento.
“Abbiamo applicato questo nuovo approccio chirurgico – dice Paolini – ai tumori intrinseci del cervello, i più frequenti dei quali sono i cosiddetti gliomi e le metastasi. La novità consiste nell’utilizzo sistematico della mini-craniotomia. Si tratta di una finestra ossea di circa tre centimetri ottenuta attraverso una piccola incisione cutanea nascosta tra i capelli. Il primo risultato emerso è che la mini-craniotomia non ha pregiudicato in alcun modo la radicalità dell’asportazione del tumore. Utilizzando specifici accorgimenti tecnici, si è infatti potuto ottenere un tasso di asportazione identico a quello garantito da approcci più estesi, a prescindere dalla sede e dalle dimensioni del tumore. Le dimensioni della craniotomia non hanno pregiudicato l’utilizzo delle abituali metodiche di monitoraggio delle funzioni neurologiche in corso di intervento.
Per quanto riguarda i vantaggi “si è osservata – spiega il neurochirurgo – una riduzione molto netta dei tempi operatori e delle complicanze, sia superficiali che profonde. Oltre il 95% dei pazienti è stato dimesso in condizioni inalterate o migliorate rispetto al preoperatorio. La degenza in Ospedale è stata inoltre più breve rispetto ai precedenti approcci, e ciò si è tradotto anche in un accesso più tempestivo ad eventuali terapie postoperatorie”.
Un paziente con tumore al cervello vede la sua vita profondamente cambiata dalla malattia. Nuove sfide, preoccupazioni, cambiamento delle abitudini. Rendere meno invasivo l’intervento neurochirurgico significa, quindi, aiutarlo in questo difficile cammino. “Siamo andati incontro – conclude Paolini – ad una aspettativa comune in questi pazienti: liberarsi del tumore rapidamente, senza sacrificare la propria integrità. Per la maggior parte dei pazienti giunti in buone condizioni ed operati con tecnica mini-invasiva i segni fisici e psicologici dell’intervento erano invisibili già al momento della dimissione”.