Il ministro Maria Elena Boschi è intervenuta nel dibattito sull’escalation di violenza contro le donne, dopo i fatti di cronaca gli ultimi giorni, affermando che “sulle sanzioni le leggi ci sono, siamo intervenuti due anni fa con il decreto sul femminicidio. Il problema è la formazione, l’educazione”
L’assessore alle Pari Opportunità del Comune di Campobasso, Emma de Capoa, ha replicato, ritenendo opportune “alcune precisazioni” all’esponente di governo, attraverso il profilo facebook, scrivendo:
“La Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011, che all’art.3 definisce la violenza contro le donne ‘violazione dei diritti umani’, è decisamente il primo strumento internazionale giuridicamente rilevante diretto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro ogni forma di violenza. La Convenzione, inoltre, interviene anche nell’ambito della violenza domestica che non colpisce soltanto la donna, ma anche anziani e bambini, ai quali vanno estese le medesime norme di tutela e difesa. Sulla base delle indicazioni provenienti da Istanbul, il decreto legge 14 agosto 2013, convertito in legge 15 ottobre 2013, n. 119, ha finalmente reso più incisivi gli strumenti necessari per la repressione penale dei fenomeni di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e di atti persecutori (stalking)”.
“In sintesi – prosegue l’assessore de Capoa – è diventata un’aggravante la relazione affettiva con la donna, è stato previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, così anche l’allontanamento dalla casa familiare; è stata, inoltre, prevista l’introduzione del braccialetto elettronico per segnalare gli spostamenti dell’uomo autore della violenza. Mi preme ricordare, tuttavia, che degli undici articoli che compongono il detto provvedimento, soltanto cinque si riferiscono alla violenza contro le donne, mentre i restanti sei non hanno nulla a che vedere con la tematica in questione. Appare ovvio che la legge sul femminicidio, richiamata dalla Boschi, costituisce un approccio ancora molto timido se commisurato alla gravità del problema, considerato che soltanto da gennaio 2016 sono oltre cinquanta le donne vittime di femminicidio. Rispetto a questo quadro sconcertante, il richiamo fatto dalla ministra alla normativa sul femminicidio, non solo non soddisfa, ma richiama le istituzioni alle loro responsabilità e a fare quanto dovuto per mettere in atto ulteriori misure a tutela della vita e delle libertà fondamentali delle donne.
Prima fra tutte, l’introduzione di una legge più dura e la previsione di una pena molto più severa per chi uccide una donna solo perché femmina. Per arginare il problema, poi, che è sicuramente un problema sociale e culturale, è importante la prevenzione e una politica culturale adeguata, indispensabile per un cambiamento radicale. Ma oltre a questo, l’attenzione delle istituzioni deve essere concentrata sul potenziamento e sulla attivazione di centri antiviolenza, che offrono un aiuto concreto attraverso specifici strumenti di solidarietà, supporto e consulenza, rimanendo sempre della convinzione che l’aiuto di cui hanno bisogno le donne e che tali centri devono offrire, debba avere necessariamente carattere laico”.