PIETRO EREMITA*
Capisco solo ora perché mio padre me ne parlava sempre nei suoi ultimi anni di vita. La guerra, i ricordi: quella traversata in mare sotto costa per andare dal porto di Napoli ad Augusta e raggiungere la sua destinazione in Africa orientale: Alessandria, dove non arrivò mai, perché fu preso dagli inglesi poco lontano da El Alamein.
Me ne parlava con gli occhi lucidi; con la fissità di chi ha visto qualcosa di strabiliante, mirabile: incredibile, per bellezza e fascino, e ripeteva più e più volte: Capo Palinuro, Palinuro: che meraviglia Palinuro.
Ma mi torna alla mente anche l’Eneide, nel passaggio in cui Virgilio racconta la caduta in mare del nocchiero di Enea, che stava avvicinando la Penisola, scrivendo: “Unum pro multis dabitur caput” (una sola vittima per la salvezza di molti).
Mi domando: sarà andata proprio così; sarà stato – come vuole la leggenda – il “dio sonno”, ad obnubilare Palinuro; a farlo cadere in mare disperdendolo per sempre? O forse il mitico nocchiero della nave che approdò ad Albalonga, rimase così colpito ed estasiato dal chiarore di quella notte di luna, alla vista del di quel promontorio abbracciato dalle calette di Pisciotta e Camerota, tanto da perdere i sensi, l’equilibrio e cadere in mare?
Viaggiando e visitando questi luoghi, l’interrogativo che sembrerebbe travolgere la mitologia greca e romana: appare tutt’altro che improponibile.
La sublimazione della bellezza paesaggistica, coniugata con la leggenda: con il mito. Un mito rimasto inalterato nei secoli, nei millenni e che si ripropone: con fierezza (nonostante l’incuria di Provincia e Regione), forte, abbagliante: sfolgorante ed indimenticabile.
Questa parte boschiva e marittima della Penisola che vede incastonate come pietre preziose le estremità di tre regioni: Campania, Basilicata e Calabria, ci porta a dover approcciare, visitare e conoscere uno dei Parchi naturali più estesi e lussureggianti del Paese: e non solo. Un’estensione di 1810 chilometri quadrati, dove castagneti, querceti, oliveti e cinghiali la fanno da padrone e dove la vegetazione e la boscaglia sono talmente fitte e impenetrabili da limitarne, fino ad impedirne, il passaggio: il cammino.
A Palinuro, via terra, si arriva passando per un percorso stradale davvero problematico e certamente da migliorare in luoghi, di così forte vocazione ed attrattività turistica: “Un’incuria atavica e incomprensibile” – sbotta il vice sindaco di San Mauro La Bruca, Gianfranco Castello, nostro cicerone e cortese interlocutore a San Mauro -.
Ma il disagio avvertito per le difficoltà di transito svaniscono ben presto alla luce delle bellezze e dei panorami mozzafiato che il Parco offre attimo dopo attimo.
Il mattino seguente un ragazzo rinvenne a terra, per nulla sporcate, le ostie consacrate e avvisò il parroco del grave gesto profanatorio. Il religioso, a sua volta, notiziò il vescovo dell’epoca chiedendo cosa dovesse fare delle ostie, ritenute sconsacrate. Il presule gli ordinò di dissolvere le stesse nell’acqua, in maniera da farle decomporre. Così non fu fatto. Al contrario, il parroco scelse di conservarle in un fazzoletto. Quelle ostie, a distanza di 45 anni sono ancora in quella chiesa (che porta chiare in sé le simbologie e le icone dei Cavalieri di Malta), per nulla corrotte dall’umidità o dall’aria, oggi custodite in un ampolla di cristallo, tuttora venerate dalla popolazione di San Mauro e festeggiate solennemente nei primi giorni di agosto.
Non meno suggestiva è la credenza popolare che circonda Santa Eufemia, la cui chiesa è ubicata nella frazione a valle di San Mauro: San Nazario.
Un luogo di culto dal tratto architettonico più essenziale, rurale, diremmo: più semplice e quindi avvincente. Una cripta che in sostanza rappresenta (come in numerosissimi casi nei paesi costieri del Tirreno e dell’Adriatico), la chiesa preesistente e distrutta dai Saraceni, quella che ospita gli affreschi che ritraggono gli incredibili prodigi compiuti dalla santa. Miracoli che le consentirono di sopravvivere – come vuole la storia tramandata – a un’impiccagione per i capelli; e all’immersione nella calce viva, tanto da murarla.
Sacro e profano che si mescolano in una magia di suggestioni e credenze popolari, divenute culto e adorazione per tanti e per tutti coloro che ripongono sincera aspettativa nella fede.
Suggestioni non meno forti si colgono nel toccare con mano il cammino concreto e il lavoro dell’uomo in terra di Cilento. Un lavoro duro, reso aspro dal clima e dalla calura che caratterizza le aree più meridionali della Penisola. L’opera e la mano dell’uomo che deve ricorrere agli elementi della natura per propiziare la trasformazione dei frutti della terra.
La frazione di San Nazario, nel suo minuto connotato urbanistico, offre un pregevole esempio di come il cilentino d’epoca s’industriava per macinare frumento, cereali e legumi. Un mulino ad acqua dalla enorme ruota dentata, che sfruttava la corrente di un vallone, opportunamente incanalata.
Si diceva dell’ulivo; degli uliveti del Cilento e di questa pianta tanto emblematica per robustezza e peculiarità organolettica. La “pisciottana”, è tra le varietà più diffuse in questo agro. Un acino abbastanza minuto, ma tanto pregiato dopo la sua molitura. “Una molitura che quest’anno, con tutta probabilità non ci sarà – afferma preoccupato il vice sindaco di San Mauro – perché, a causa delle piogge di giugno, l’oliva è infestata dalla mosca che ne ha deposto larve al suo interno e danneggiato la polpa, rendendola secca e inutilizzabile: l’acqua de giugne arruvina lo munno – ha concluso con un’espressione tipicamente dialettale”.
Sorte pressoché analoga è toccata ai diffusissimi castagneti e alle castagne che, in zona, rappresentano un’importante fonte di reddito. “Un milione di euro all’anno – conferma l’amministratore nostro cortese accompagnatore -. Un apporto economico che quest’anno si polverizzerà, per ridursi sì e no al 10 per cento, a causa di un parassita, pare venuto dal Giappone, mediante la piantumazione di una varietà di castagno, da lì importato”.
Insomma: se Sparta piange, Atene non ride sarebbe il caso di dire, sebbene i coltivatori starebbero correndo ai ripari utilizzando un ulteriore parassita che dovrebbe antagonizzare e debellare quello dannoso, per restituire ai castagneti il fascino e la capacità produttiva che vale la pena di vedere e conoscere; com’è suggestivo pure riscontrare come il legno di questo albero dal colore caldo e accattivante, sia utilizzato in quasi tutti i manufatti presenti: dagli infissi, agli arredi domestici; dai banchi di chiesa alle panche dei bar e dei pub.
Come non parlare del cibo; delle tante preparazioni culinarie, tutte legate alla tradizione contadina e alle derrate più tipiche dell’agroalimentare del posto. Il luogo che ci ha ospitati, un’azienda agrituristica di tutto rispetto e di sicuro interesse per la sua ampia offerta, ha sciorinato una quantità di prebende dal gusto irripetibile. Una zuppa di fagioli e castagne, nella quale le due risorse autoctone utilizzate si sposano con una morbidezza unica; piuttosto che una pasta e patate in un brodetto appena rosato, di una delicatezza impossibile da descrivere, senza sentirla al palato. Eppoi, agnolotti, carni, salumi e formaggi, scaturiti dalle mani sapienti dei mastri casari che lavorano in azienda, e delle donne che sovrintendono alle cucine: portate indimenticabili.
Dall’altra parte dell’entroterra: il mare. Un mare che incanta; che avvince: che segna la memoria come una frustata nella schiena. Quel mare che costò la vita a Palinuro, i cui fondali trasparenti aprono la vista a uno spettacolo mozzafiato per la loro cristallinità. Un autentico paradiso per gli amanti dell’immersione e della pesca subacquea, ma anche solamente per coloro che sanno apprezzare e vivere il mare in maniera semplice e non necessariamente avventurosa.
Da Marina di Camerota, subito a sud di Palinuro, nel piccolo porticciolo, sono attraccati numerosi “gozzi” che consentono di effettuare una tranquilla traversata in mare, fino a doppiare il confine con la costa lucana, lambendo insenature, grotte e calette di incredibile bellezza e fascino. Luoghi che restano nella memoria dove, sovente, l’acqua profonda e salmastra del Tirreno meridionale si mescola con quella dolce e gelida che gorgoglia dalle sorgenti sfocianti delle alte colline boscose del Cilento. Fare un tuffo in quelle acque, in particolare, è come vuotarsi addosso numerose bottiglie di spumante ghiacciato; una sensazione di indescrivibile piacere, con l’epidermide che sembra ricevere un idromassaggio a forte pressione.
Eppoi la “Grotta di Santa Maria”, al di sotto della quale l’esperto marinaio con la pelle bruciata dal sole e che conduce la barca, dice dell’esistenza di uno scoglio semi-affiorante che ricorda tanto la forma di una statua raffigurante la Vergine.
“La Grotta del Bue”, dove la natura si è divertita a forgiare nella pietra un’immagine fortemente somigliante alla testa di un bovino, con tanto di occhi, naso e corna, calati in una penombra di rara suggestione e che raffredda di colpo la pelle avvampata dal sole e graffiata dai riflessi scintillanti del mare.
Il comandante dell’imbarcazione avvisa: “Tra un po’ saremo a Pozzallo, una località che può essere raggiunta anche via terra, lungo un sentiero scosceso e irto di ostacoli e che era un antico ricovero dei
Un ultimo sguardo al Golfo di Policastro a sud e il “gozzo” riprende la rotta alla volta del porticciolo di Marina di Camerota. L’andatura è decisamente più rapida e comunque consente di riavvolgere il nastro delle cose meravigliose viste, ispirando il visitatore a soffermare ancora lo sguardo, come a voler fermare, rovesciandola, la clessidra del tempo, per fissare meglio il ricordo di quei luoghi di impareggiabile bellezza.
Certo sarebbe riduttivo pensare che il Cilento sia tutto qui, o tutto ciò che è stato possibile conoscere in sole 48 ore. Il Cilento e il suo Parco Naturale sono un qualcosa di affascinante e misterioso; una sorta di film giallo che va visto tutto e fino alla fine, per poterne cogliere ogni particolarità, ogni sfaccettatura: ogni bellezza nascosta e da scoprire assolutamente.
Meraviglia un tantino, tuttavia, la scarsa attenzione delle Istituzioni nel tributare a questi luoghi e a questi itinerari il giusto apporto infrastrutturale, sì da consentirne un più rapido e comodo raggiungimento.
Un grazie riconoscente al vice sindaco del Comune di San Mauro La Bruca, Gianfranco Castello, per il supporto storico e i cenni di tradizione popolare, che ci ha garantito durante la visita nel suo Comune. Grazie anche allo staff dell’Azienda Agrituistica “Il Forno Antico”, per la cortese e squisita ospitalità.
* Direttore responsabile CBlive