“In carcere siamo ad un allarmante rischio epidemia: due detenuti su tre sono malati, in aumento Hiv e tubercolosi. I dati diffusi al congresso Simspe-Simit, che coinvolge le diverse figure sanitarie che operano all’interno degli istituti penitenziari, sono preoccupanti e mettono a rischio la salute del personale penitenziario”. Ad affermarlo è il segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria, Aldo Di Giacomo, associandosi all’appello dei medici per un piano straordinario di prevenzione delle malattie infettive che coinvolga il personale in servizio.
Il sindacato della Polizia Penitenziaria, inoltre, si rivolgerà alla Corte Europea di Giustizia che ha già più volte duramente sanzionato lo Stato Italiano per le condizioni di carcerazione perché si occupi dell’aspetto salute (detenuti e personale) e al Ministero di Grazia e Giustizia perché istituisca una “indennità rischio salute” in busta paga del personale penitenziario. Si stima che – riferisce Di Giacomo- gli Hiv positivi siano circa 5.000, mentre intorno ai 6.500 i portatori attivi del virus dell’epatite B. Tra il 25 e il 35% dei detenuti nelle carceri italiane sono affetti da epatite C: si tratta di una forbice compresa tra i 25mila e i 35mila detenuti all’anno. Dal 1° giugno scorso l’Agenzia Italiana del Farmaco ha reso possibile la prescrizione dei nuovi farmaci innovativi eradicanti il virus dell’epatite C a tutte le persone che ne sono affette. Quindi una massa critica di oltre 30mila persone che annualmente passa negli istituti penitenziari italiani, potrebbe usufruire di queste cure ma anche per non contagiare altri nel momento in cui torna in libertà. Risulta, poi, dai dati ufficiali del Ministero della Giustizia che un terzo della popolazione sia straniera, e, con il collasso di sistemi sanitari esteri, con il movimento delle persone, si riscontrano nelle carceri tassi di tubercolosi latente molto più alti rispetto alla popolazione generale. Se in Italia tra la popolazione generale si stima un tasso di tubercolosi latenti, cioè di portatori non malati, pari al 1-2%, nelle strutture penitenziarie sono stati rilevati il 25-30%, che aumentano ad oltre il 50% se consideriamo solo la popolazione straniera.
“La situazione – commenta Di Giacomo – è ancor più preoccupante in quanto, secondo i medici, un detenuto su due risulta essere tubercolino positivo e questo sottintende una maggiore circolazione del bacillo tubercolare in questo ambito. È, quindi, indispensabile effettuare controlli estesi in questa popolazione, perché il rischio che si possano sviluppare dei ceppi multi resistenti è molto alto, con conseguente aumento della letalità nei pazienti in cui la malattia si sviluppa in modo conclamato, con possibile contaminazione anche al di fuori delle carceri. Ancora più preoccupante l’analisi dell’indice dello stato di salute nelle carceri il quale ci rivela che il 25% dei detenuti e tossicodipendente il 12% con malattie psichiatriche. In questa situazione – conclude Di Giacomo – è intollerabile che si parli solo ed esclusivamente di assicurare i LEA (Livelli essenziali di assistenza) ai detenuti escludendo il personale penitenziario, continuando a sottovalutare i rischi”.