Ha preso il via, nel pomeriggio di venerdì 11 novembre, la tre giorni del “Festival Letterario Livre”, evento che ha visto come primo protagonista il regista e sceneggiatore Massimo D’orzi, per la prima volta nelle vesti di scrittore con l’opera letteraria dal titolo “Tempo imperfetto”, un romanzo noir presentato al pubblico nel locale di via Gazzani a Campobasso. Il Festival, che questo pomeriggio avrà protagonista la scrittrice esordiente Alessandra Minervini, si chiuderà nella serata di domenica 13 novembre con l’intervento di Claudia Durastanti, affermata scrittrice e traduttrice per Mondadori e Einaudi.
Il lavoro dell’artista D’orzi, introdotto dall’avvocato Filomena Lazzaro con la collaborazione dello speaker radiofonico di Radio Luna Network, Pietro Rama, è stato tema d’interesse anche per due ospiti d’eccezione come la dottoressa Giulia Leonelli, psicologa/grafologa e consulente del Tribunale di Campobasso e l’avvocato penalista Alessandra Salvatore, attualmente assessore alle Politiche per il Sociale del Comune di Campobasso.
“Tempo imperfetto” è un romanzo che trae origine da una storia vera ma rivista con gli occhi dell’autore. Sullo sfondo, il duplice delitto di Novi Ligure compiuto per mano di Erika e Omar, due fidanzatini adolescenti che, nel febbraio del 2001, uccisero a coltellate la madre e il fratellino di lei, lasciando sconcertata l’opinione pubblica tutta.
Massimo D’orzi, per la stesura di quest’opera narrativa, è riuscito ad accedere agli atti processuali del pubblico ministero Livia Locci, che quindici anni fa seguì il caso di cronaca nera. Non era mai capitato, all’epoca dei fatti, che qualcuno avesse l’occasione di visionare documenti così strettamente riservati ma, stavolta, il pm Locci ha deciso di dare fiducia allo scrittore, permettendogli di studiare nel dettaglio le carte di un duplice omicidio che ha sconvolto un Paese intero per la sua efferatezza e per la peculiare condizione dei due assassini.
La particolarità di questo libro è rappresentata dalla presenza dei diversi punti di vista dei tanti protagonisti che nel racconto indagano sulla vicenda: psicologa, avvocato, magistrato e giornalista, entrano dentro questa storia ponendosi una serie infinita di domande.
“Ho scritto molte sceneggiature – ha detto D’Orzi – perché vengo dal teatro e dal cinema. Avevo già consegnato la sceneggiatura quando mi è venuto in mente questo caso. Mi sono ritrovato a pensarlo in una forma letteraria e non cinematografica perché ho ritenuto che la forma per raccontare questa indagine dovesse essere questa. Scrivere è anche cercare qualcosa che ci sfugge, indagare, afferrare, portare a conoscenza e rappresentare. Dopo qualche mese – continua – sono riuscito a entrare in contatto col magistrato. Lei non aveva mai voluto parlare in anni di questo caso e con me si è messa a disposizione per come avevo intenzione di affrontarlo. Non il giornalismo, non la televisione: la letteratura poteva dove il giornalismo non era arrivato”. Ma c’era bisogno di qualcosa in più, l’autore ne era consapevole. Il bisogno di andare oltre un caso di cronaca affrontato da un magistrato fino al terzo grado di giudizio.
Il duplice omicidio è solo la vicenda guida di una trama che va a snocciolare la psicologia dei giovani, quel cercare una risposta alla domanda “capaci di intendere e di volere o no?”. Un racconto scritto di pancia, sulla pelle, i cui dialoghi hanno una risonanza interna forte che spinge i protagonisti a indagare nei meandri più bui dell’animo umano. “Tempo imperfetto” perché è il tempo verbale con cui si raccontano i sogni e le favole. Una favola nera il cui punto di partenza diventa secondario. Una condanna piena, giustificata dalla capacità d’intendere e di volere dei colpevoli, che lascia lo sgomento e il dubbio atroce che chiunque possa compiere un fatto di questo genere.
“Sapevo – spiega ancora Massimo D’orzi – che rimanendo alla semplice ricostruzione dei fatti non avrei apportato nulla di più. Questo mi ha permesso di trovare una forma del romanzo che era quella dei vari punti di vista. Perché più personaggi parlano in prima persona. L’assassina, il giornalista e il magistrato. Lascio a lettore di comprendere se è un pensiero lineare sano o dissociato o malato. Tutti i personaggi all’interno del romanzo conducono la loro professione fino in fondo ma sono coinvolti umanamente. Il fatto di cronaca io lo vedevo sempre più lontano. Perché il romanzo, che ha una sua validità, deve vivere a prescindere. Quel caso poi resta un caso di cronaca, ma il romanzo deve avere un’altra vita”.
La psicologa Giulia Leonelli è intervenuta nel dibattito per cercare di mettere in luce il mondo complesso dell’adolescenza : “Isabel (Erika nel romanzo) ha fragilità molto più strutturate di altri adolescenti. Quello che colpisce di questa triste vicenda, più di altre storia di cronaca, è che si parli di una giovane di 15 anni. Qui c’è qualcosa che spezza, c’è una ragazza che diventata una efferata assassina e per questo ci spiazza”.
La paura che certi episodi possano accadere senza essere prevedibili, offre in seguito un altro spunto di riflessione: quanto può essere difficile per un avvocato prendersi la responsabilità di far applicare la legge. Come capire la scelta giusta da fare in un caso delicato come questo?
Alla domanda ha cercato di rispondere l’avvocato Alessandra Salvatore: “Un avvocato partecipa, come lo psicologo, alle vicende del suo assistito. In quel momento non c’è il delinquente ma una persona, le norme (che sono lo strumento per tutelare il suo assistito) per cui anche il difensore deve entrare nella psicologia del suo assistito e mantenere un po’ di distanza. Non sempre si riesce, perché l’empatia è forte. Sicuramente – continua – quando si ha di fronte un adolescente, qualche domanda in più occorre farla. Il rischio in queste vicende così forti, è che molto, sull’esito del processo, purtroppo lo faccia il peso dell’opinione pubblica. La paura che fatti simili possano verificarsi da parte di chiunque, ha portato dubbi e sconforto di pari passo. In realtà c’era più di qualcosa di strano che poi non ha trovato riconoscimento nella sentenza. C’era una sorta di anestesia sentimentale – prosegue l’avvocato – in grado di far pensare di avere a che fare non con un’adolescente come tante. Quanto all’esito del processo fu legato a pressioni forti dell’opinione pubblica, della stampa e a tutto quel circo che si è messo su non possiamo dirlo. Ma anche il bisogno di tutelare la collettività, credo sia normale”.
cs