Quanto può far male il peso del pregiudizio? A questa e a molte altre domande ha risposto la giornalista Lidia Di Pasquale nel suo libro ‘m’am(m)a non m’mama’ in cui ha raccontato una storia vera, intrisa di dolore e voglia di riscatto.
E proprio quel pregiudizio che la gente, in una città piccola come Campobasso, a Maddalena le ha cucito addosso come un vestito troppo stretto da indossare, è il filo conduttore che unisce tutte le pagine del testo, dove l’autrice racconta la giovinezza della figlia di una prostituta.
Cosa può significare discendere da chi, a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, nel capoluogo molisano, “fa la vita”? Semplicemente che agli altri non interessa chi sei, perché sono loro ad aver già deciso per te.
Avere una madre prostituta non può che significare esserlo a tua volta. È questa, infatti, l’unica risposta che Campobasso, in quegli anni, riesce a dare.
Quell’unica certezza di molti, a Maddalena le viene tatuata addosso da chi nemmeno la conosce. Ecco perché la sua vita sarà una lotta continua. E la protagonista, il cui nome è di pura fantasia, quella battaglia l’ha dovuta combattere da sola. Il suo avversario? Un’intera città che quel marchio di “prostituta” aveva deciso di imprimerglielo sulla pelle.
La figlia di “una poco di buono” è come sua mamma. Poco importa se anche chi l’ha preceduta lo abbia fatto per necessità, per povertà o semplicemente per fame.
A nulla vale per Maddalena il non essere come lei. In una città di provincia come Campobasso il suo destino è già segnato. Dal pregiudizio, da una semplificazione eccessiva della realtà, da una comunità che troppo spesso non perdona, nemmeno nel caso in cui a commettere errori siano stati altri.
Eppure, quella colpa mai compiuta per la quale gli uomini anziani le si avvicinavano con un motivo ben preciso, Maddalena ha dovuto espiarla. Per una vita intera, prima di poter rinascere. Proprio quel processo verso un momento migliore della sua vita è iniziato con la partecipazione al programma Rai della giornalista Enza Sampò, durante il quale raccontò la sua storia.
In una cittadina di provincia, dove i sorrisetti e le allusioni si insinuano sottovoce, Maddalena ha finalmente trovato il coraggio di gridare, non prima di subire l’ultima umiliazione. Per partecipare a quel programma le venne, infatti, chiesto un certificato di illibatezza. Una prova dura da superare, forse nemmeno troppo per qualcuno, come Maddalena, a cui la vita aveva già tolto molto. Ecco perché quell’ennesimo scoglio che le veniva posto dinanzi, lei ha scelto di definirlo quasi come “un passaporto per il paradiso”.
Con Maddalena che approda sul piccolo schermo, Campobasso inizia così a conoscere i contorni di una storia che scopre nettamente diversi da quelli che la gente raccontava.
Sfumature che oggi sono ancora più nitide nelle pagine del libro della Di Pasquale.
“Anni fa, quando lavoravo per il mensile ‘Qui donna’, – racconta l’autrice – ho conosciuto la protagonista di questa storia. L’avevo intervistata e avevo avuto già un assaggio di quella che era stata la sua esperienza. Poi, l’anno scorso, dopo tanto tempo, lei mi ha chiamato e mi ha detto che non stava molto bene e che le sarebbe piaciuto lasciare un’eredità ai suoi figli”.
“Voglio che la gente sappia la mia verità”, sono state le parole che Maddalena ha affidato alla scrittrice.
Manco a dirlo, dodici mesi più tardi, in una sala gremita, la presentazione del volume e una serata per fare il punto sul ruolo del pregiudizio. Ad affiancare la Di Pasquale, intervistata dalla giornalista Rai, Enrica Cefaratti, è stata anche Maria Concetta Mignogna, psicoterapeuta e vicepresidente dell’Ordine degli Psicologi del Molise.
“Nel periodo subito dopo la Seconda Guerra mondiale, – il racconto della scrittrice – l’idea di essere la figlia di una prostituta, automaticamente ti classificava come ‘una di quelle’. Nessuno credeva che questa ragazza bellissima che cantava al Piper di via Piave potesse avere un destino diverso. Se a distanza di tanti anni, – sottolinea la Di Pasquale – parliamo ancora di questa storia vuol dire che, probabilmente, c’è ancora chi si lascia andare a preconcetti”.
E il dovere, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni, è far comprendere come la realtà sia sempre più complessa di come ce la presentano. Da questo monito, infatti, nasce il libro che in copertina ha la foto di una margherita. Il fiore simbolo dell’amore che nella dicitura riporta una ‘m’ in più, evocando la parola mamma: quella figura che per Maddalena è stata sinonimo di sofferenza. Non solo per la sua professione, ma anche per quei gesti d’amore e di affetto che la madre le ha sempre negato.
Maddalena ha scelto, però, di non essere come lei e, nelle pagine del libro della Di Pasquale, ha voluto affidare, con tutto l’affetto possibile, un messaggio profondo ai propri figli. Quelli che ha avuto con Giuseppe, unico uomo della sua vita.
Una riflessione sul passato che vuole proiettarsi sul futuro delle nuove generazioni. I figli di Maddalena non sono, così, gli unici destinatari di un testo in cui viene narrata una vita condita dal dolore che ha saputo, però, trovare il modo di riscattarsi. Nell’amore, negli affetti, e anche nella comprensione verso chi ha compiuto scelte discutibili che, in fondo, dovrebbero semplicemente non essere giudicate.
fabyabb