A tu per tu con Michael Yamashita: Laura Venezia intervista il fotografo giapponese-americano

LAURA VENEZIA

Michael Yamashita è un fotografo giapponese-americano, storico contributor del National Geographic, che ho incontrato per un’intervista alla Fondazione Molise Cultura di Campobasso all’inaugurazione della sua mostra “I luoghi di Marco Polo” (Spazi espositivi Palazzo Gil, Campobasso- 2 Novembre/10 Dicembre 2023). La mostra, curata da Biba Giacchetti e Melissa Camilli, è parte integrante della terza edizione di Molichrom, il festival della fotografia nomade, diretto da Eolo Perfido.

Yamashita ama definirsi un fotogiornalista.

Gianni Berengo Gardin non ama che si definisca artista un fotografo. Cosa rappresenta per Lei il fotogiornalismo? “Sono d’accordo con Berengo Gardin. Mi definisco un fotogiornalista poiché racconto  con la luce delle cose reali. Più che un artista, il fotografo è un narratore di storie, un testimone della realtà”.

 

Com’è nato il progetto del libro, e poi della mostra, su Marco Polo? “Si tratta di un progetto a lunghissimo termine, se così si può dire. Com’è naturale, progetti simili sono avventure incredibili che diventano realtà solo grazie al sostegno di un magazine storico come il National Geographic. Ho fotografato in tutti i continenti, ma l’Oriente resta la mia principale area di interesse. Così ho deciso di mettermi sulle tracce del grande Marco Polo, una mia passione personale, ripercorrendo il suo viaggio da Venezia attraverso la Via della Seta fino all’Indonesia e all’India. L’intento principale è stato quello di realizzare immagini diverse di luoghi anche molto conosciuti, come ad esempio Piazza San Marco o la Grande Muraglia”.

 

Cosa rende preziose queste fotografie? “Probabilmente, alcuni tra i luoghi raccontati in queste fotografie oggi non sono più visitabili. Si tratta dunque quasi di documenti storici, di istanti magici che non torneranno più poiché nessun turista o fotografo potrà più raggiungere tali siti”.

 

Storia di una foto. Com’è stata scattata la fotografia del Buddha? “Questa fotografia è speciale poiché la sua stessa realizzazione è una vera e propria storia. Ho scattato la foto in Cina, nelle grotte di Mogao, e non volevo assolutamente utilizzare una luce flash. Così ho chiesto ad una persona di aiutarmi posizionando uno specchio all’ingresso della caverna per raccogliere la luce del sole e inviarla ad una seconda e addirittura ad una terza persona, che sempre tramite degli specchi illuminavano il viso della statua”.

Anche Lei è un fotografo, e quindi sa quanto è importante la giusta luce, che in questo caso, riflessa da uno specchio, non cambia ed è molto naturale.

 

Ha dei suggerimenti particolari per i suoi allievi? “Sono i suggerimenti di un fotogiornalista. Quindi, farsi testimoni di fatti veri e reali. Soprattutto, evitare mentre si scatta di guardare in continuazione il monitor della fotocamera. Con l’analogico questo non accadeva e non c’era il rischio di perdere dei momenti irripetibili”.

 

Un rapido confronto tra analogico e digitale. “Ho utilizzato la pellicola quando mi trovavo in posti privi di energia elettrica. Sarebbe stato impossibile utilizzare ricariche e computer. Ma, sono convinto che il digitale abbia una qualità superlativa. Ciò che sempre fa la differenza è la capacità di trovare la luce giusta e di proporre in maniera personale immagini di luoghi anche molto noti e già fotografati tantissimo. Una vera sfida, a me è successo con Venezia”.

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