La scuola forense del Molise porterà il nome dell’avvocato Erminio Roberto. È così che l’avvocatura locale vuole rendere omaggio al professionista, tragicamente scomparso a soli 54 anni, nel pomeriggio di ieri, 9 marzo 2019.
Ad annunciarlo è il presidente dell’Ordine degli Avvocati di Campobasso, Demetrio Rivellino. A lui e all’amico e collega Nicolino Cristofaro è stato affidato il ricordo dell’avvocato originario di Trivento e presidente della Camera Penale Molisana.
Parole che vengono scandite con una voce che trasuda commozione durante il rito funebre avvenuto nel pomeriggio di oggi, in una chiesa di Sant’Antonio di Padova letteralmente gremita. In tanti quelli rimasti in piedi e soprattutto fuori. Troppi quelli che lo conoscevano e hanno voluto rendergli omaggio.
Molti anche quelli che ancora non riescono a credere che sia accaduto davvero. “Non posso pensare che non ti vedrò più scendere dalla tua Panda. Non posso pensare che non ci incontreremo più per le scale del Tribunale”, dice con voce tremula Rivellino, che di Roberto ricorda la sua estrema disponibilità con i colleghi e le lunghe chiacchierate. Il modo amorevole con cui parlava della moglie e delle figlie. E proprio a loro si rivolge quando annuncia che a lui sarà dedicata la scuola forense.
A dicembre scorso, nella stessa chiesa, Rivellino e Roberto erano insieme per l’ultimo saluto all’avvocato Montalto, scomparso a 88 anni. Un nome nel mondo forense del capoluogo, dal quale Roberto aveva imparato tanto. In quello studio di via Pascoli il giovane professionista aveva studiato e avuto l’opportunità di mettere in pratica quanto appreso, fino a quando i tempi erano diventati maturi per spiccare il volo e aprire lo studio associato insieme alla collega Fiorina Piacci.
Ma nello studio di Montalto, dove Roberto era cresciuto professionalmente, aveva anche incontrato quei colleghi divenuti poi amici di una vita. Ed è lo stesso Cristofaro a ricordarlo. “Ogni volta i miei processi erano i tuoi e viceversa. Confronti preziosi di cui era impossibile fare a meno” dice l’avvocato di Ripalimosani, che di Roberto vuole anche rammentare come fosse sempre pronto a mettere in discussione le proprie tesi. “Quante volte, nel nostro lavoro, abbiamo immaginato di essere dall’altro lato. Siamo stati i giudici dei nostri processi per capire la bontà o meno delle nostre tesi”.
Ma tutti quei successi che arrivavano in ambito lavorativo non hanno mai evitato che Roberto continuasse a essere schivo dei riflettori, che nella sua vita non aveva mai cercato, seppur meritandoli. “Quello che ho letto e ascoltato in questi giorni – dice, infatti, Cristofaro – non esprime tutto quello che hai davvero fatto nella tua vita”.
Professionista serio, scrupoloso, poco avvezzo alle telecamere, Roberto aveva sempre continuato a essere al fianco dei deboli. Al fianco di chi non sempre aveva voce e opportunità per difendersi.
Non solo troppo umile per vantarsi dei propri successi, ma anche eccessivamente rispettoso delle regole. “Nella tua vita le scorciatoie non sono mai esistite”, dice l’amico dal pulpito. Proprio lui di Roberto ricorda ancora come non si sottraesse mai nemmeno ai consigli che i colleghi gli chiedevano. “Erano in tanti a telefonare o, a venire a trovarti allo studio, e tu non avevi problemi a esporre quanto magari avevi appreso dopo ore di studio”
Onesto, scrupoloso, cordiale e con la battuta sempre pronta: Roberto era davvero una “brava persona”, particolarmente stimato dai colleghi con cui, a quanto pare, non riusciva a condividere solo la sua fede calcistica. La sua passione era il Napoli.
In quei momenti Roberto, così come racconta l’amico di sempre, smetteva di essere un avvocato affermato per indossare i panni di una persona qualunque: quella che ha una squadra del cuore e che ogni tanto riesce ad andare a seguire allo stadio. Ma la stima che tutti nutrivano per lui non sembrava scalfirsi nemmeno nelle discussioni di calcio che spesso avvenivano davanti al Tribunale di via Elena. Soprattutto il lunedì mattina.
Insomma, il rispetto verso una persona così per bene poteva soprassedere anche a quel tifo molte volte non condiviso. E proprio quel rispetto, quella stima, verso un professionista e un uomo di spessore, in tanti oggi hanno voluto dimostrarlo indossando la toga.
La stessa adagiata sul feretro portato fuori a spalla da alcuni colleghi.
La stessa che Roberto ha indossato nelle numerose udienze della sua vita e che, questa volta, non gli ha permesso di vincere il suo processo più importante.
Quella stessa toga che, oggi, in quella chiesa così affollata ha indotto tutti a riflettere sul senso della parola giustizia.
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