MARIA CRISTINA GIOVANNITTI
È il 14 luglio 2009 alle ore 12.07, nella provincia di Farah, in Afghanistan, quando al passaggio del lince italiano scoppia un ordigno. In questo gravissimo attentato perde la vita il caporalmaggiore scelto Alessandro Di Lisio, 25enne molisano. Nel docufilm #Reduci, scritto e diretto da Andrea Bettinetti, con la collaborazione dell’Esercito italiano, nella terza delle 10 puntate, i suoi colleghi raccontano quei tragici momenti: quando il corpo di Alessandro è stato sbalzato ad una trentina di metri dal mezzo; quando hanno provato a chiamarlo ma già non rispondeva più.
Oggi, dopo sei anni dalla sua scomparsa, il caporal maggiore scelto Di Lisio ha ricevuto tanti riconoscimenti, onorificenze ed è diventato l’eroe dell’Italia, caduto in guerra per il suo Paese. Eppure in questo giorno preferiamo raccontarvi di Alessandro, giovane molisano simpatico e spensierato come tanti, bellissimo e con un sorriso contagioso, un carattere da leader e un carisma evidente.
Preferiamo così descrivere Alessandro attraverso i racconti ed i pensieri dei suoi compagni del Liceo Scientifico ‘Romita’ di Campobasso e della sua professoressa di filosofia, Adele Fraracci.
“Ogni volta che passo per via Ugo Petrella, quindi almeno una volta al giorno, penso al suo sorriso, te lo ricordi?” così racconta la professoressa Fraracci: “Un sorriso bianchissimo e bellissimo. Lui era sempre sorridente, divertito, semplice. Una volta, un paio di anni fa, per i corridoi del Liceo mi è parso di vederlo. Capita a tanti di noi scorgere in un viso, il volto di chi non c’è più e ricordo di lui che era una lenza simpatica, che alla ricreazione lo aspettava sempre qualche ragazzetta fuori dalla porta. Penso che per farlo studiare ho penato e mi sono impegnata sino a quando, al quinto anno, finalmente ci son riuscita. Ricordo quando mi disse che si sarebbe arruolato come parà e in lui vi era il solito sorriso tra il canzonatorio e il romantico. I suoi occhi erano pieni e soddisfatti e mi venne di dirgli semplicemente, col sorriso: “Non andare a fare la guerra!”. Lo rividi una mattina mentre mi accingevo a fare colazione allo stabilimento al mare col mio quotidiano. In prima pagina una grande foto, un giovane militare italiano morto in Afghanistan, non lo riconobbi nell’immediato ma solo dopo qualche secondo. Cominciarono a cadermi pesanti le lacrime, all’inizio calde, ad un certo punto grandi e fredde. Era molto presto, c’era solo un signore sconosciuto e anziano che mi guardava sconsolato, gli dissi ad un certo punto che quel ragazzo era stato mio studente e mai avrei pensato, quando iniziai giovanissima a fare questo mestiere, che un mio alunno sarebbe morto in guerra, mai…. e lo continuo a dire ancora oggi, ogni volta che passo per via Ugo Petrella. Ogni giorno dinanzi a quella lapide gli mando il mio bacio. A lui, assai bello e sempre tanto entusiasta. Alessandro, così come Gaetano, me li porto dietro con dolcezza”.
Una classe sfortunata, quella della V G: che qualche anno prima, il 1 gennaio 2006 vede perdere la vita di un altro studente, Gaetano Giangiobbe morto in un incidente stradale. Gaetano ed Alessandro erano molto amici ed Alessandro non venne a sapere subito della morte di Gaetano perché era impegnato in ‘duri allenamenti’ nei parà e la notizia avrebbe potuto danneggiarlo emotivamente.
“Ricordo di averlo incontrato alla festa del Corpus Domini, sarà stato fine maggio o giugno credo, lui doveva ripartire per l’ennesima missione” ci racconta Paola: “A questo punto penso fosse l’ultima sua missione. In ogni caso, la cosa che mi è rimasta impressa è che era così diverso, serio, era diventato enorme, con delle spalle giganti. Io gli chiesi come facesse, cosa lo spingesse a partire e ripartire e ad affrontare così tanti pericoli. Lui mi guardò, dicendo solo: “Paolè che ti devo dire?”. Nella sua espressione ho come letto un “Perché non potrei fare altro”. Lì c’era tutta la sua passione e la foga nell’affrontare le cose, la stessa che aveva tra i banchi di scuola, insieme al suo sorriso “tira schiaffi”.
C’è poi il ricordo di Federica: “Sono trascorsi sei anni da quando sei andato via, eppure il tuo pensiero è ancora vivo dentro me! Ogni volta che poso un fiore lì, su quella lapide, ricordo tutto il tempo trascorso insieme. Ti voglio ricordare con un episodio in particolare, che non dimenticherò mai, e racchiude quello che eri. Gita di quinto superiore a Praga; viaggio in aereo a dir poco turbolento. Eravamo seduti vicini. Io ero molto agitata e avevo una grandissima paura quando tu, con il tuo vocione e le tue mani non proprio delicate, mi hai preso la mano e mi hai detto: stai tranquilla, andrà tutto bene! Proseguimmo tutto il viaggio mano nella mano. Andò tutto bene e capii che dietro quella tua aria da duro si nascondeva un ragazzo d’oro”.
Isabella ci dice: “Alessandro, ti ricorderò sempre per il tuo sorriso e per la grande vivacità d’animo”, così come Mara: “Ale, passano gli anni da quel fatale episodio ma dimenticarti è impossibile”.
“Chiudo gli occhi e lo rivedo dietro di me in classe, bello come il sole” ci dice Barbara: “Ricordo quanto gli piacesse ascoltare la musica dei Blink 182 e ricordo l’ultima conversazione avuta con lui prima di partire per quella che, a suo dire, sarebbe stata l’ultima missione e poi avrebbe provato a fare qualche concorso. Mi aveva detto che si sarebbe fermato a Roma al suo ritorno, dove io studiavo, e che ci saremmo dovuti rivedere”.
“Per me Alessandro è il passaggio in motorino stretta a lui, le mani con le nervature sul dorso, le braccia rassicuranti, le volte che mi toccava la fronte per misurarmi la febbre, i battiti del polso che contava guardando l’orologio, i suoi “Non hai niente, tranquilla”, i litigi in classe, i sorrisi a distanza, le volte che chiamavo a casa costringendolo a interrompere le partite a pallone in cortile, le versioni di latino inventate, i pennarelli lanciati dalle finestre, il suo entusiasmo, il corridoio dell’albergo di Praga, la rimpatriata mancata, il suo occhiolino davanti la cattedrale qualche giorno prima di andare. Gli voglio un gran bene e lui lo sa” racconta Vanessa.
“Io ed Ale avevamo gli stessi ideali” dice Enza: “Insieme compravamo il ‘Secolo d’Italia’ e lo portavamo alle lezioni del professor Novelli. Entrambi abbiamo provato a far carriera nell’esercito ed io fortunatamente ne sono uscita prima da quel mondo, perché oggi non credo più in queste missioni. Ho conosciuto molte persone che come Alessandro sono partite per le cossidette missioni di pace ed hanno trovato o la morte del corpo o addirittura quella dell’anima. In ogni caso, Alessandro manca tantissimo”.
“Alessandro era fascinoso, il più bello della classe” racconta Diletta: “Ricordo di un ragazzo che aveva le idee chiare sul suo futuro, quasi come se viaggiasse su un unico binario. Questo suo modo di essere lo rendeva anche più maturo rispetto ai suoi coetanei”.
Poi c’è il ricordo del suo caro amico Giovanni: “Per me non è stato un semplice compagno di banco ma l’amico vero con il quale ho condiviso tutto per 5 anni e dal quale, nonostante io avessi un anno in più, ho appreso tante cose. Era una persona molto responsabile già in età adolescenziale, mentre tutti noi compagni di classe nel week end eravamo intenti a divertirci lui lavorava come cameriere per crearsi quell’autonomia economica che tanto desiderava, e nonostante la famiglia non gli avesse mai fatto mancare niente a lui piaceva costruire quel piccolo patrimonio da gestire che gli faceva capire quell’importanza del guadagnarsi tutto ciò che possedeva, cosa che lo differenziava. Ale allo stesso tempo sapeva divertirsi, non lo vedevi mai senza quel sorriso stampato sul suo bel faccione, usciva con gli amici con cui andava a ballare dopo una serata di lavoro, se ne andava a spasso con la ragazza del Liceo, aveva la passione per i cani e per il suo amato boxer “Furio nel bosco di odino”, così battezzato. A scuola l’ho reputato sempre uno dei più intelligenti, aveva una buona media sostenendo il minimo sforzo. Poi come si fa a dimenticare da alunni “modello” quei filoni fatti insieme, tra cui quella bella giornata passata a Campitello Matese sulle motoslitte e sulla funivia. Mi ha raccontato dell’ebbrezza provata la prima volta che si è lanciato con il paracadute, le diverse prove di sopravvivenza a combattere la fame mangiando ratti, gli scontri a fuoco con i Talebani, le accerchiate subite dai terroristi Afgani dalle quali ne uscivano vivi per miracolo, i compagni soldati visti cadere davanti agli occhi e tante altre cose che aveva fatto e che continuava a fare che gli rendevano la vita movimentata e senza attimi di pausa come piaceva a lui. Salutandolo mi ricordo gli dissi “Mi raccomando se vedi di essere in difficoltà per una volta lascia da parte il coraggio e metti in salvo la tua vita” e lui mi rispose “Non ti preoccupare tra tre mesi sarò di nuovo quà e faremo una mega festa”.
“Ricordo quella triste mattina, ero in Inghilterra e poco dopo le 8 del mattino mi chiamò mio padre per dirmi che il mio amico di scuola era rimasto vittima di un attentato” così Simone conclude la carrellata di ricordi legati al giovane Alessandro: “Mi cadde il cellulare dalle mani, non riuscivo a crederci e ancora oggi a distanza di 6 anni faccio fatica. Soltanto qualche giorno prima avevo sentito Ale in chat ed avevamo voglia di organizzare una cena visto che lui sarebbe tornato in Italia da lì a qualche giorno. Mi raccontò anche dei rischi che correva ogni giorno lì in Afghanistan ma nonostante tutto era quello che voleva: rischiare la vita per quello che davvero amava fare. Era cosi Ale, un vero “macho”. Mi porto dentro il ricordo di un ragazzo e soprattutto di un amico che aveva un coraggio invidiabile, determinato, che amava il suo lavoro più di qualunque altra cosa e poi quel sorriso…impossibile dimenticarlo!”.