Orgoglio tutto italiano, premio Oscar nel 1999 per la colonna sonora del film “La vita è bella” di Roberto Benigni, pianista, compositore, direttore d’orchestra, autore di teatro musicale e artista di fama internazionale, il maestro Nicola Piovani è approdato all’ex Gil di Campobasso, dove ha incontrato i giornalisti in occasione dello spettacolo che terrà questa sera, sabato 15 ottobre alle 21 al Teatro Savoia del capoluogo.
Uno spettacolo organizzato dalla Fondazione Molise Cultura che va a inaugurare la nuova stagione del Teatro Savoia. “La Musica è pericolosa” è un racconto musicale suonato e parlato che sfiora la canzone, la paura metafisica della musica e la mitologia.
Il titolo viene da una frase di Federico Fellini mentre parlava di sé stesso: il regista, stando ai racconti del maestro Piovani in sala, era una persona molto fragile e vulnerabile nei confronti della musica. A volte bastava una chitarra che provava accordi in tonalità minore per creare struggimento nell’anima felliniana. “Inquieta perché la musica non ha contenuti,– era la risposta che il ‘padre’ de “La dolce vita” forniva all’artista Piovani – perché la musica, in fondo di cosa parla? Non so a cosa allude, eppure ha la capacità di strangolarmi di emozioni”.
Proprio in omaggio al grande regista romagnolo, le prime due musiche, scritte dal maestro Piovani, che saranno suonate nello spettacolo di questa sera, sono tratte dai film di Fellini “L’intervista” e “Ginger e Fred”.
“Abbiamo scelto come titolo – ha spiegato Piovani – la frase di questo artista perché è stato molto importante nella mia vita : ho lavorato con lui per unici anni molto intensi.”
Nei racconti di Piovani non c’è solo il ricordo di Fellini, ma un po’ alla volte si spazia dalle origini della passione per la musica d’orchestra, per il teatro fino a a raccontare del libro, della nascita di un progetto letterario non troppo diverso dalle operazioni di partitura che lo hanno portato a scrivere le opere più grandi.
“La mia passione si deve all’orchestra sinfonica della Rai di Roma, – racconta Piovani – che faceva un concerto a settimana il sabato. Il venerdì c’era invece la prova generale che era aperta al pubblico. Io con la tessera studentesca ho avuto la possibilità di entrare e assistere alle prove. Non conoscevo questa musica perché a casa mia i miei ascoltavano le canzoni di Sanremo, Modugno, Villa e lì, per la prima volta, – continua- potevo assistere alla musica dell’orchestra dal vivo. Se entri con quella curiosità adolescenziale, è già un incanto”.
Il teatro per Nicola Piovani è sinonimo di vita, di carne, di sensualità e presenza, di rischio. E’ apprezzare lo sforzo di colui che suona. Proprio per questo motivo, non risparmia la televisione di oggi da critiche sottili e mirate, rea di essere schiava delle aziende pubblicitarie e di mostrare scarsa attenzione per un servizio pubblico inteso come tutela culturale dei cittadini.
Il tragitto artistico di un maestro poliedrico come Piovani inizia sin da bambino. Racconta di aver cominciato scrivendo musica applicata: “non mettevo sul pentagramma una mia poetica, ma quella di qualcun altro”. Quando inizia a lavorare sodo con Marco Bellocchio nei suoi film, è chiaro che lo sforzo fosse quello di scrivere qualcosa che stesse dentro la poetica del regista. “La mia filmografia – le parole di Piovani– all’inizio era un tripudio di opere prime. Poi, una volta, mi ha chiamato Monicelli per una commedia, ‘Il Marchese del Grillo’; lui aveva intuito che forse avrei potuto fare altre cose oltre che le musiche drammatiche che scrivevo. La commedia è riuscita bene e alla fine mi sono tolto la fama di musicista ‘mortaccino’, perché nell’ambito della commedia mi consideravano un musicista adatto per i film drammatici, impegnati. Ma sia nei film impegnati che nelle commedie, ci sono capolavori e bufale ripartite in maniere uguale. Se un film riesce, non dipende dalle intenzioni che sono sempre nobili”.
Scherza Piovani su quel ruolo di musicista impegnato culminato poi nell’Oscar del 1997 con la colonna sonora de “La vita è bella” e poi, con la stessa accattivante ironia, continua raccontando di come da compositore di musiche è diventato scrittore per la Rizzoli.
“Il libro nasce perché la Rizzoli mi chiedeva di scriverlo. Un giorno – spiega – mi sono svegliato con qualche appunto da inserire e mi sono convinto a scrivere questo libro. In dieci capitoli parlo di dieci sguardi sul mio cammino musicale e del mio rapporto con la musica. Scrivere musica e scrivere un libro non è poi tanto diverso: devi pensare ad un inizio, allo svolgimento della storia e al finale. Nel rileggere e nel progettare, mi sono reso conto che era molto simile ad una partitura”.
Quando poi parla di “teatro come linguaggio del futuro” la sua analisi parte dall’amara riflessione che la riproduzione casuale e distratta della musica sia la causa del mancato rispetto nei confronti della stessa. “C’è un uso che tende ad uccidere la musica,– chiosa Piovani- per questo credo che una forma di comunicazione, come avverrà questa sera quando mezza sala buia spegnerà il cellulare per non disturbare sarà qualcosa di miracoloso. Una ritualità religiosa da difendere. Mi piace immaginare – conclude – un pianeta in cui tra duecento anni ci sarà sempre qualcuno in carne e ossa, davanti ad un pubblico in carne e ossa, a cantare suonare e dire versi aspettandosi l’applauso o a prendere i fischi”.
cris.salv.