Massimiliano Guerriero, il medico campobassano in Uganda per aiutare la popolazione africana e vivere un’esperienza umana e professionale importante

Il medico Massimiliano Guerriero

GIUSEPPE FORMATO

Massimiliano Guerriero è un medico campobassano, 41enne, specialista in anatomia patologica, dottore di ricerca in scienze per la salute, indirizzo anatomia patologica, dal 2011 dirigente medico dell’ospedale ‘Cardarelli’ di Campobasso, prima ancora per un lustro medico presso la Cattolica del capoluogo molisano.

Il medico molisano, attualmente, si trova in Uganda: attualmente in ferie dal nosocomio di Campobasso, Massimiliano Guerriero sta prestando la sua opera in un paese tra i più poveri del Mondo.

Dottor Massimiliano Guerriero, come mai ha scelto l’Uganda per prestare la sua opera professionale. “In Uganda ci sono arrivato per caso: lo scorso inverno avevo contattato via posta elettronica  l’Organizzazione ‘Patologi Oltre Frontiera’ e, seguito della email, mi ha telefonato la dottoressa Karin Schurfeld, anch’essa patologa che era stata più volte in Uganda. Parlammo per due ore: mi spiegò la situazione e il lavoro da fare, dopodiché accettai. Sarei dovuto partire nel 2015, successivamente abbiamo concordato di partire in anticipo”.

Il Saint Mary’s Hospital Lacor

Dove si trova di preciso? “Al Saint. Mary’s Hospital di Lacor, a lavorare gratis e usufruendo delle mie ferie in ospedale. Da maggio ho preparato tutti documenti per iscrivermi all’Ordine dei Medici dell’Uganda, sottoponendomi a tutte le vaccinazioni richieste. Sono stato indirizzato da una dottoressa di Milano, Laura Fibbi, che una decina di anni fa ha aperto un laboratorio, e dalla Fondazione ‘Corti’, sempre di Milano, che ha sponsorizzato la mia missione, pagandomi il viaggio, il vitto e l’alloggio. Una fondazione che si occupa di raccogliere i fondi per sostenere l’ospedale dove sto prestando la mia opera”.

Il St Mary’s Hospital Lacor è il più conosciuto in Uganda? “Il St Mary’s Hospital Lacor, più conosciuto semplicemente come ‘LacorHospital’ è un ospedale privato non a scopo di lucro situato a Gulu,nel nord dell’Uganda. Fu fondato nel 1959 dai missionari comboniani esviluppato, a partire dal 1961, da due coniugi: Piero Corti, pediatraitaliano, e Lucille Teasdale, una delle prime donne chirurgo canadesi.I coniugi Corti svilupparono il Lacor con l’obiettivo di offrire ilmiglior servizio sanitario possibile, al minor costo e per il maggiornumero di persone. Questa linea contraddistingue da sempreil ‘Lacor Hospital’, che negli anni è cresciuto ed è oggi il primoospedale privato non-profit dell’Uganda”.

Lei, nello specifico, di cosa si occupa al ‘Lacor Hospital’? “Io sono anatomopatologo e, in Uganda, sto eseguendo lo stesso lavoro che, quotidianamente, svolgo a Campobasso: analizzo i tessuti e le cellule al microscopio. L’esame istologico e quello citologico, infatti, sono indispensabili per altri medici, al fine di decidere quali terapie seguire per le diverse malattie. I tipi di tumore sono alcune migliaia e ognuno va trattato in maniera differente, lo stesso vale per le patologie infiammatorie ed infettive. C’è, però, una differenza: in Italia disponiamo di colorazioni speciali istochimiche e immunoistochimiche e di tecniche di biologia molecolare, queste ci sono di sussidio e di aiuto nella diagnostica. In particolare, in quella dei linfomi e in caso di sarcomi poco differenziati (nomi difficili per indicare malattie molto gravi).

In Uganda, a questa mancanza, si cerca di risolvere con un continuo confronto con i colleghi: la dottoressa Valeria, che vive qui da alcuni anni con marito e figlie, ematologa e pediatra milanese, si reca in anatomia patologica tutti i giorni per seguire i suoi casi. Lei analizza i vetrini dei citologici, io quelli istologici dei tessuti midollari e cerchiamo di arrivare a una conclusione, la più corretta possibile con i pochi mezzi che abbiamo.

La dott.ssa Marianne, medico statunitense, invece, è esperta del sarcoma di Kaposi, tumore tipico dei malati di AIDS che qui sono a migliaia, costantemente presente nel nostro laboratorio per seguire ogni singolo caso”.

Che realtà ha trovato in Uganda? “È una realtà di povertà estrema. Sabato scorso, 13 settembre 2014, in un incontro ci hanno spiegato che per un mese di terapia con il Lasix (farmaco molto importante nell’ipertensione arteriosa e nello scompenso cardiaco), servirebbe un solo euro, per un mese intero di cure, ma tante persone non posseggono questa somma. Molti ugandesi, per farsi curare, devono vendere le uniche tre capre in loro possesso. Una volta terminati i soldi, si interrompono anche le cure.  Le persone arrivano qui anche da molto lontano e aspettano di essere visitati e curati. Aspettano, persino, per il risultato di un esame.

Mi ha spiegato il tecnico di laboratorio che lavora qui con me, Lawrence, persona straordinaria e anche di cultura e sensibilità, che in attesa di un esame istologico è più conveniente per loro aspettare qui, piuttosto che tornare ai loro villaggi, perché sarebbe troppo dispendioso. E così c’è un’area dove le donne cucinano con la brace e  preparano il pranzo.

Lei è dirigente medico all’Ospedale ‘Cardarelli’ di Campobasso. Quanto coraggio ci vuole per fare la scelta di lasciare lavoro, famiglia, benessere e andare a lavorare nei Paesi africani? “Il Presidente degli Stati Uniti, Obama, qualche giorno fa ha parlato della gravità della situazione nell’Africa Occidentale, per via dell’epidemia di Ebola. Io mi trovo, invece, nell’Africa centroorientale e, per ora, siamo al sicuro. In questo Ospedale, tra i mesi di settembre e dicembre del 2000, morirono tante persone di Ebola, compresi medici e infermieri. Morì anche il dottor Matthew Lukwiya, importante medico ugandese e successore dei Corti alla guida dell’Ospedale. Arrivare in aeroporto a Entebbe, essere fermati uno ad uno per misurale la temperatura e per altri accertamenti sanitari, ti fa capire che l’Ebola è una realtà. Non ci si pensa, però, così come non si pensa di contrarre la malaria o la tubercolosi o le altre mille malattie infettive che circolano in questo Paese. Non è coraggio: è che non ci pensi e vai avanti, del resto la vita va vissuta a colori, la paura è di colore grigio e rende grigia tutta la vita”.

Tornerà in Italia e a Campobasso con un bagaglio di esperienza importante. “L’esperienza scientifica riguarderà le malattie tropicali: neoplasie differenti dalle nostre. La mia è, soprattutto, una esperienza umana: la gente che ti ringrazia e la grande e continua interazione con i colleghi. In anatomia è un via vai di medici che chiedono chiarimenti, confronto, consigli e mi danno un indirizzo preziosissimo per le mie analisi. In Italia questa interazione con i colleghi si sta perdendo, qui c’è la consapevolezza che il lavoro di gruppo è davvero l’anima e il motore della medicina”.

A Campobasso nel tempo libero ama fare jogging. A vedere dalle foto su facebook e sul suo blog, corre anche in Uganda. “Io corro sempre: a casa, in vacanza, quando sono fuori per lavoro. Correndo, oltre a mantenersi in forma, si ha l’opportunità di mantenersi in forma, vedere i colori, i posti, le persone, sentire gli odori. Avrò, al mio rientro in Italia, due immagini nei miei occhi: i bambini, avendo imparato il giro che faccio, la sera mi aspettano per correre. Appena mi vedono arrivare ridono e, poi, corrono con me per 50  o 100 metri, per fermarsi e aspettarmi al giro successivo. L’altra immagine che porterò per sempre con me è quella dei bambini piccoli portare ognuno la propria tanica d’acqua di ritorno dal pozzo, perché in Uganda nemmeno bere o lavarsi è una cosa normale”.

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