Cronache marziane / Tratta Roma-Campobasso: il viaggio che ti rende una persona migliore. Tra donne incinte e nonne ai ferri, sui convogli della speranza i pendolari diventano una famiglia

La stazione di Campobasso

CRISTINA SALVATORE

Ognuno di noi, almeno una volta nella vita, immagino abbia preso il treno regionale che da Campobasso porta a Roma Termini concludendo la sua corsa.

Rivolgendomi ai più coraggiosi, nel caso in cui non aveste mai provato il brivido di un viaggio sulla “Freccia del Molise”, vorrei esortarvi a compiere questo gesto estremo che merita di diritto di entrare nel bagaglio di esperienze personali che aiutano a diventare persone migliori.

Quel viaggio aiuta davvero a crescere: ci si cresce proprio dentro quei vagoni, ci si invecchia persino!

La tratta in questione la conosco molto bene, l’ho percorsa centinaia di volte nella vita e posso permettermi di parlare con cognizione di causa.

Ho visto all’interno di quelle carrozze nonnine che prendevano i ferri per cominciare a realizzare cappottini di lana per i loro nipotini appena nati e arrivare a finirli una volta giunte alla stazione Termini.

Ho visto i parenti dei passeggeri, in attesa del loro arrivo, piangere di gioia al pari dei familiari dei reduci di guerra che riuscivano a tornare in terra natìa.

Ho anche visto gente in piedi, al binario 20 bis della stazione di Roma, che avvolgeva la lingua attorno al collo a mò di sciarpa per ripararsi dal freddo mentre aspettava invano l’arrivo del treno del giorno prima.

Ormai i pendolari delle tratta Campobasso-Roma sono diventati davvero una famiglia: si fanno i regali a Natale, si invitano ai compleanni dei loro bambini (spesso per ragioni di tempo e di ovulazione, concepiti sul treno), si scambiano salami e caciocavalli da portare in regalo al cugino che ha fatto il percorso da piazza dei Cinquecento fino al binario 20 bis di arrivo per andarli a prendere.

Perché in effetti passare cinque ore su un treno che non offre alcun servizio al suo interno, in cui raramente un telefonino ha campo (considerando che transita lungo percorsi in cui l’unica forma di vita presente è la mosca degli ulivi)… beh, sembra un’eternità.

Mamme che all’ottavo mese di gravidanza chiedevano alle loro ostetriche di fiducia di accompagnarle nel viaggio, temendo il rischio di partorire a Carpinone, un paesino in cui se la notte si riesce a vedere l’anima di qualche povero cristo è solo lo scherzo del riflesso del vetro che mostra le facce dei disperati al suo interno!

Spesso io stessa nell’attesa mi levavo le doppie punte. Credo di essere arrivata a casa con un caschetto alla Caterina Caselli quella volta in cui ho fatto andata e ritorno in un giorno solo.

Che poi, se ci pensiamo bene, trattandosi di ‘carrozze’ è anche normale immaginare che alla guida del treno ci sia il cocchiere e non il macchinista. È forse per questo motivo che noi donne ci sentiamo un po’ tutte delle Cenerentole: con il mascara sciolto che cola sotto il mento a causa dei pianti di gioia quando si supera una galleria senza intoppi, o i vestiti sgualciti per via delle posizioni più assurde che assumiamo sui sedili pur di non farci venire le piaghe da decubito. E gli uomini? Gli uomini ovviamente si sentono come il Principe Azzurro dopo aver passato una notte intera a corteggiare una perfetta sconosciuta, che sul più bello li ha lasciati a bocca asciutta rifilandogli una sòla allucinante, che neanche le sorprese dell’uovo di Pasqua reggono il paragone.

Comunque, cari miei viaggiatori della Freccia, sappiate che con un nome così, il disagio era annunciato dall’inizio; da quando il filosofo Zenone scrisse il suo paradosso: “Una Freccia scoccata dall’arco è ferma in ciascuno dei luoghi in cui viene a trovarsi, perciò da una somma di stati immobili non si può produrre movimento, per cui il suo moto è soltanto apparente”.

Trenitalia vi augura buon viaggio e vi ringrazia per averci scelto.

 

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