Venerdì 4 novembre, alle 17:52, viene pubblicato un video-denuncia sulla pagina Facebook “I video che la Tv ti nasconde”. Premessa: la pagina in questione conta più di 95 mila followers e con un semplice scrolling verticale è possibile visualizzare video amatoriali che mostrano episodi realmente accaduti e documentati. Come quello del cane seppellito dalle macerie dopo il sisma del 30 ottobre, l’ennesimo che ha interessato ancora una volta l’Italia Centrale. Il cane, sepolto vivo, come mostra il filmato, è stato tratto in salvo dai Vigili del Fuoco di Norcia e messo al sicuro. Ma questo è solo un esempio perché, in realtà, la pagina Facebook in questione condivide tanti filmati la cui credibilità spesso è visibile già dai primi secondi di visualizzazione. E allora qual è il problema? Lo spiego in pochissimi passaggi.
Il video pubblicato lo scorso venerdì dal titolo “L’Assessore occupa con l’auto blu il posto disabili, il video della vergogna. Diffondete questo schifo”, mostra un cittadino molisano intento a redarguire, con toni non proprio pacati, un assessore regionale reo di aver effettuato una fermata con l’auto istituzionale blu su un parcheggio riservato ai disabili. E fin qui uno non si stupisce più di tanto perché l’episodio potrebbe essere possibile e realistico quanto le auto parcheggiate, tutti i giorni e in tanti luoghi, sulle strisce pedonali o davanti alle rampe d’accesso e discesa in strada. Ma andiamo avanti perché la storia merita attenzione. Il volto del politico nel video è stato accuratamente offuscato. Non è possibile dotarlo di identità (ma si capisce dal tono della voce che non ha visto moltissime primavere) né prendere appunti sulla targa, opportunamente ‘pixellata’. Massima riservatezza nei confronti di un personaggio pubblico. Persino il nome, più volte scandito dal “giornalista d’assalto” intento a denunciare lo schifo e la vergogna del parcheggio irrispettoso, viene censurato al momento giusto. Il dialogo poi è esilarante perché, tra improperi e parole al vetriolo, le voci dei due protagonisti echeggiano in una piazza Municipio deserta. Posti vuoti ovunque ma macchina blu, con autista alla guida, appositamente parcheggiata tra le strisce gialle che segnalano il punto riservato. “E’ una vergogna! Fate girare! Massima condivisione”, invocano gli autori del video. Detto, fatto. Il filmato in pochissimo tempo riceve più di 11 mila condivisioni in tutta Italia. Rimbalza da un monitor all’altro, di città in città, tra commenti di sdegno, dissenso assoluto e voglia di rintracciare l’assessore. Punirne uno per punirli tutti, questo il senso. Ma poi accade che qualcuno, più di qualcuno, si insospettisce. Soprattutto quando appare un commento da parte dei gestori della suddetta pagina Facebook, nonché autori del video-denuncia: “Per chi ce lo chiede – tutto scritto in maiuscolo – abbiamo dovuto oscurare il volto e il nome dell’assessore perché non ha firmato la deliberatoria. E’ ritornato e ci ha minacciato di denuncia. Ma tranquilli – concludono- lo faremo noi”. Così arrivano più di duecento pacche sulle spalle sotto forma di like, come a dire “bravi, siamo tutti con voi e orgogliosi di voi”. Le condivisioni aumentano, partono richieste di giustizia, schizzi d’acqua dai vasi la cui misura è colma, dubbi sulla recitazione non proprio da Oscar dei soggetti che battibeccano e persino le richieste, più che comprensibili, di sostituire “deliberatoria” con “liberatoria”.
Ormai, che il video sia vero, ci credono solo Nonna Papera e Paperino. Agli autori della messa in scena, dopo aver assaggiato il sapore della gogna mediatica da parte di chi non ha gradito la presa per i fondelli, non è rimasto che postare un secondo video chiarificatore che, però, è suonato come una presa in giro più grande della prima. In realtà la spinta motivazionale che ha generato tutto questo, come spiegano gli ideatori delle clip, aveva nobili scopi da ricondurre alla ricerca sociologica e psicologica sul potere delle bufale nel web. A questo punto mi viene in mente una scena del passato, quando giocando a pallavolo in casa ruppi un vaso pregiato, antico cimelio di famiglia, che emotivamente per mia madre valeva più della mia stessa vita. “Volevo vedere se davvero il cristallo si rompe solo quando lo colpisci in un unico punto debole”. In pratica tentai di nascondere una cavolata fatta dietro uno scopo scientifico. Ora, non vi sto a dire quanti punti deboli riuscì a trovare mia madre picconandomi il fondoschiena con il battipanni per vedere se la mia coscienza fosse provvista di una zona fragile, ma credo di avere imparato tantissimo da quella lezione: quando fai una cretinata, ammetti e chiedi venia. Basta.
Far girare un video assolutamente verosimile e possibile per denunciare un fatto mai accaduto ma realistico, che senso ha? Perché alla fine suscitare sdegno in un momento storico in cui basta uscire dall’ascensore per provocare un infarto a chi da fuori aspetta, non è proprio il massimo. Gli effetti della condivisione virale – e mi rivolgo a chi queste dinamiche le conosce benissimo avendole provate con la riuscita di una serie web ancora molto cliccata e apprezzata- sono potenti e spesso pericolosi. Cercare di calcolare la velocità a cui riesce a viaggiare una bufala sul web, con relative conseguenze, è complesso e tutt’ora indagine da parte di esperti del settore. Gli effetti base sono comunque noti: non c’è bisogno di tagliare le ali ad una farfalla per scoprire che dopo non riuscirà più a volare. Così come non c’è bisogno di calpestare la cacca di un cane per appurare che la scarpa si sporcherà e il puzzo lo avvertirà l’intero condominio. In definitiva, lasciatevelo dire: il web non perdona, ma fortunatamente dimentica. Vi riesce molto meglio far sorridere e, detto tra noi, ne abbiamo anche più bisogno.