Storie di vita / Suor Nina Berardi: otto anni in Albania per vivere solo dell’essenziale e apprezzare ancora di più il Molise

LUDOVICA COLANGELO

Un sorriso che riscalda l’ anima, due occhi pieni di gioia e dei calzari ai piedi simbolo di tutta la strada percorsa. In questo modo si presenta Suor Nina Berardi che, da poco, risiede nel convento di Sant’ Antonio a Trivento. “Ora – dice – vivo nel paese dove sono nata, insieme ad altre due sorelle francescane della carità e trentuno anziani che assistiamo con l’aiuto di alcuni laici. Per diverso tempo, però, sono stata in Albania”.

Un corpo che, quando inizia a raccontare degli otto anni vissuti nella periferia albanese, si irrigidisce. Sembra quasi che la sua mente non riesca a tracciare ciò che valga di più la pena menzionare rispetto ad altro.

“Sono stata chiamata alla missione in Albania nel 2005, quando ero da poco diventata suora. Il mio compito consisteva nel dovere aiutare, insieme ad altre due consorelle,  il parroco. Mi trovavo in una periferia, circondata da delle montagne sulle quali, dai tempi del comunismo, risiedono delle persone che noi spesso andavamo a trovare.  La campagna, – dice suor Nina, originaria di Trivento – fin da quando sono venuta al mondo, ha rappresentato un ambiente familiare. I miei genitori, infatti, erano dei contadini. Siamo portati a pensare che le piccole realtà molisane rappresentino tutto ciò che possa essere definito fuori dal mondo, dalla società, dalla vita. In Albania mi sono resa conto che esistono delle situazioni per noi inimmaginabili.”

Due occhi grandi, quelli della suora molisana, che quando descrive lo stile di vita nelle campagne albanesi diventano lucidi. “Quasi sempre le famiglie coltivano la terra e mangiano ciò che riescono a guadagnare dai loro raccolti. Servizi di prima necessità come l’ elettricità o l’assistenza medica non sono scontati. Una volta – racconta per ottenere dell’ acqua abbiamo dovuto raccogliere la neve e attendere che si sciogliesse. L’istruzione non è importante, molti non studiano anche se le cose stanno leggermente cambiando. Le ragazze si trovano in una posizione difficile, spesso si sposano in età molto giovane per fuggire dalla situazione familiare che vivono. Dalla Diocesi di Trivento arrivavano dei fondi che noi abbiamo impiegato per realizzare laboratori di vario genere e una biblioteca. In Molise ci sono molte campagne ma non possiamo dire che chi le abita sia fuori dalla realtà come spesso si sente”.

Non hai mai avuto difficoltà ad operare in un paese in prevalenza musulmano?La storia albanese ha condotto il popolo ad una diffidenza verso il prossimo, però, ha anche fatto comprendere cosa significhi non poter professare il proprio credo e, ciò è stato utile nelle relazioni tra le varie religioni. Noi ci recavamo da tutti e le persone, di qualsiasi credo e cultura, dopo essersi fidate di noi, erano molto accoglienti. Un atteggiamento aperto nei nostri confronti, dovuto anche al fatto che noi ci ponevamo al loro stesso livello. Vivevamo come loro, pur potendo usufruire di alcune agevolazioni. Abbiamo prestato qualsiasi tipo di aiuto ma mi rendevo conto che, spesso, più che con beni materiali, bisognava sostenere le famiglie umanamente. Un ricordo toccante è legato ad alcuni zingari che mi chiesero di insegnargli a scrivere. La sensazione di prendere la mano di un adulto per dover tracciare una lettera è indescrivibile, il cuore mi si stringeva. Quanta umiliazione avranno provato quelle persone”.

Suor Nina che senso ha condurre una vita così? Lontani da tutto e senza nulla? “Grazie all’ Albania ho compreso davvero cosa significhi avere a disposizione l’essenziale e, nel far rientro in Italia, mi sono sentita in un altro mondo, spaesata. Ho capito che, pur non sapendolo, abbiamo davvero a disposizione tutto. Quella nelle periferie albanesi è una vita difficile, ma la serenità che si legge negli sguardi degli abitanti è indescrivibile. Io so che si fa difficoltà a comprendere ciò che sto dicendo, è una questione di culture diverse”.

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