Con il Molise ha un feeling particolare. Un rapporto che ha radici lontane, negli anni Novanta quando da giovane bluesman girava con le sue chitarre l’Europa anche nei suoi posti più remoti. Talento assoluto delle sei corde, da allora ne ha fatta di strada: Alex Britti è diventato uno dei cantanti più popolari e amati d’Italia, un artista di successo, ma in fondo è sempre lo stesso: prima di tutto e sempre, chitarrista blues. Alla vigilia del suo concerto a Campobasso si racconta, parla del suo nuovo disco, della carriera, dello spettacolo di domenica prossima e del suo legame con il Molise.
Arrivi a Campobasso poche settimane dopo l’uscita della seconda parte del tuo disco “In nome dell’amore”. È un disco particolare che hai diviso in due. Perché questa scelta così singolare?
L’idea è nata perché, innanzitutto, c’erano canzoni con stati d’animo diversi, una parte più intensa, una più rock. Mi è venuto così di divederle per stati d’animo: fare un primo volume con canzoni intimiste, più particolari, c’è anche una canzone su un tema drammatico come la violenza sulle donne. E un secondo con una parte più spensierata, più solare, più rock ‘n’roll. Per questo l’ho voluto dividere in due.
Nelle tue canzoni nuove il filo conduttore è l’amore che si può riscoprire in tutte le cose e per tutte le cose. Che importanza riveste per te questo sentimento? Rispecchia un tuo particolare momento, un Alex Britti innamorato? Quanto c’è di autobiografico in questo inno all’amore?
Molto. Anche se poi parlo di amore in modo ampio, nel senso che non è poi soltanto l’amore tra due persone, ma amore intenso come la passione, la voglia di fare le cose in un modo completo, appassionato, divertente. L’amore è anche quello di chi fa un lavoro che ama, e così è la vita: quando fai le cose che ami, vivi meglio. Io faccio sempre il mio esempio, l’amore per la musica e la chitarra: dopo quaranta anni che suono, ancora oggi mi sveglio la mattina, scendo dal letto, neanche ancora mi prendo il caffè, sono tutto rincoglionito è sto già con la chitarra in mano.
Torniamo un po’ indietro negli anni, quando suonavi blues nei club di tutta Europa e non eri ancora famoso. Molti tuoi punti di riferimento non ci sono più, i grandi bluesman italiani e stranieri. In particolare Roberto Ciotti, tu hai cominciato con lui suonando al Big Mama di Roma. Che vuoto ha lasciato?
Con Roberto non mi manca solo il punto di riferimento, ma mi manca l’amico che mi ha tirato su, che mi ha preso quando ero ragazzino ed è stato uno dei primi a credere in me. Mi manca parlare con lui, raccontarci le nostre cose, ridere insieme.
Il Britti bluesman c’è sempre ancora oggi sul palco. Ma la dimensione intima dei tuoi esordi quanto ti manca? Ti è mai capitato di suonare ‘clandestinamente’ in qualche piccolo locale?
No, non ci torno mai perché non posso più viverla allo stesso modo e per fortuna! Io una volta andavo nei locali per rilassarmi, incontrare gli amici, parlare di musica e suonare, oggi questo sarebbe impossibile perché appena entro mi chiedono di tutto e tutto diventa più complicato. Lo faccio invece quando vado all’estero dove ho tanti amici perché io in passato ho vissuto per lunghi periodi in Francia e in Olanda. Ogni tanto ci torno e lì i miei amici, anche quando non mi va, mi vengono a prendere a casa e mi portano nei locali a suonare.
Ma il successo oggi come lo vivi?
In non sono uno che cavalca la fama. Mi diverto a suonare e continuo a vivere sempre allo stesso modo. Sto sempre a casa, mangio, bevo, cucino, suono la chitarra. Esco pochissimo, non faccio vita mondana, non mi vedi mai alle feste o sui giornali di gossip.
Il successo popolare arriva che eri già un affermato chitarrista blues. Scrivi con pochi mezzi ‘Solo una volta’ e diventi un’icona del pop italiano. Come andò?
In maniera artigianale. Avevo il mio ‘buchetto’ di casa a Trastevere, erano in tutto due stanze: la camera da letto e un cucinotto tuttofare dove avevo abolito la cucina per fare spazio agli strumenti e alle apparecchiature. Erano poche cose e con quelle ho fatto tutto il primo disco di successo. Come si dice a Roma: ‘co na scarpa e na ciavatta’.
Ma ancora adesso non vado nei megastudi di registrazione, lavoro sempre a casa, certo con cose più buone, ma l’impostazione è sempre quella artigianale di una volta.
Veniamo al Molise. Questa è una regione che conosci.
Come no? Ho suonato qui molte volte in passato. Ho tanti ricordi divertenti legati in particolare a Trivento; erano bei tempi, si stava per strada, in piazza, si suonava dappertutto. In quel paese ho trovato gente ancora sana. Mi ricordo che rispetto al resto dell’Italia, era un posto incontaminato, un ambiente sano. Mi è poi capitato di passare anche in altri posti della regione ma è sempre stata una ‘toccata e fuga’ con una sola eccezione.
Quale?
Termoli. A Termoli mi ci fermo spesso, anche quello è un posto incontaminato, sano. Io ho un amico lì che ha un ristorante, di giorno me ne vado a correre. A me piace correre visto anche quello che mangio e bevo, devo allenarmi sempre altrimenti (ride, ndr)….
E lì è una giusta dimensione, mi rilasso, giro nel borgo antico, è bellissimo. Dormo nell’albergo diffuso. Facciamo bagni a largo e delle belle mangiate di pesce.
A Campobasso sarai parte integrante di un grande evento come la festa del Corpus Domini. Su quel palco prima di te si sono esibiti mostri sacri come De Gregori, Venditti, Pfm, Dalla, Arbore. A te che sei partito dai club, oggi piace la grande dimensione della piazza o preferisci i teatri?
Non ho preferenze, sono situazioni diverse. A me piace suonare dappertutto, da casa solo e fino al posto più grosso del mondo e ogni posto ha una sua atmosfera. Quando suono in teatro ovviamente è una atmosfera diversa, con più magia, più concentrazione, posso dedicarmi anche a pezzi più sofisticati, ad atmosfere più delicate, sapori più jazz. In piazza invece quando c’è tanta gente devi anche un po’ aggredire, il clima è diverso. Se faccio il pezzo intimista il pubblico magari un po’ si distrae. E allora vado giù con un repertorio più sostenuto.
Da sempre a te piace l’idea del concerto senza uno schema fisso, dove c’è tanta improvvisazione e dove nulla è scontato. Che spettacolo vedremo a Campobasso? Con quali canzoni?
Boh! Uno show! Certo c’è un po’ di tutto: le canzoni nuove e quelle vecchie. Di sicuro sarà una bella festa ma io ho sempre scalette diverse e lascio sempre spazio all’improvvisazione. Quando suono all’aperto, in un posto grande, aggredisco di più e ‘meno’ come un fabbro. Ho abbastanza padronanza dello strumento per spaziare un po’ nei vari generi di musica. Il blues quello ovviamente c’è sempre e non me lo tocca nessuno.
È vero che hai una chitarra ‘molisana’?
Da tanti anni ho una chitarra che arriva da Bojano, una bellissima chitarra classica che mi ha fatto e regalato Camillo Perrella e la uso sempre molto volentieri in teatro perché è fatta per determinate atmosfere. Tra l’altro qualche anno fa l’ho usata per fare una canzone nell’Mtv Unplugged. In una parte ho la chitarra di Camillo, lo testimonia il dvd! La uso nella canzone ‘Nomi’. Lui è bravissimo a fare le chitarre, fa tutto a mano.
Allora appuntamento a domenica sera…
Certo. Sono molto felice di venire e sono allo stesso tempo curioso perché mi hanno detto che è una festa davvero grossa e molto bella. Ci vediamo al concerto!
Intervista realizzata da Enzo Luongo