Il potere delle Chinatown in Molise. I grandi colossi mafiosi a basso costo che tolgono lavoro ai piccoli artigiani

MARIA CRISTINA GIOVANNITTI

Non è questione di xenofobìa né di razzismo ma solo di Chinatown che spuntano come funghi nei vari angoli della città e che spesso, secondo quanto denuncia il Distretto Nazionale Antimafia, nascondono potenti organizzazioni mafiose cinesi. Il sillogismo è chiaro: alla crisi economica, si aggiungono i clan cinesi e tutti i reati di commercio illegale e contraffazione, abbattendo i costi di produzione e provocando l’inevitabile morte delle piccole attività molisane.

Partiamo dal primo punto: la crisi economica in Molise ha toccato punte drammatiche. Secondo i dati ufficiali dell’Istat la disoccupazione è quasi al 16% e questo equivale ad un esercito di ben 19 mila persone, di cui 7 mila donne e 11 mila uomini, che non hanno lavoro. Un dramma acuto considerando che “il lavoro restituisce dignità all’uomo” così come ha detto Papa Francesco in visita a Campobasso. In questo stato di profonda crisi comprare al risparmio, ovviamente, conviene peccato che il low coast – oltre a non favorire la qualità dei prodotti – va a fortificare quell’enorme rete fatta di mafia cinese che si nasconde dietro queste attività.

Punto due: le infiltrazioni di mafia cinese, nel caso specifico del Molise, hanno terreno fertile vista la posizione geografica strategica della regione. L’allarme è lanciato dalla Dna che avvisa: “le Chinatown sono un fenomeno da non sottovalutare” perché dietro di loro c’è la fitta e capillare rete mafiosa che mantiene il legame stretto con la madrepatria e si diramano come potenti lobbies in Molise ed in Italia. Con la compiacenza dell’imprenditore italiano in crisi, le organizzazioni mafiose cinesi presenti in Italia organizzano i viaggi dei cinesi, i quali si muovono con documenti falsificati e sono di solito le agenzie di viaggi a procurare loro, secondo la Dna, il visto turistico. Molto spesso entrano incontrollati in Italia con la scusa di soggiorni studio. Una volta arrivati nel Bel Paese comincia la loro schiavitù: considerato che i clan mafiosi per il loro viaggio spendono in media 15 mila euro per ogni cinese che arriva, questi ultimi dovranno lavorare in nero oppure a costi bassissimi per poter saldare il debito. La Guardia di Finanza ha individuato anche l’escamotage preferito per le attività cinesi al fine di evitare i controlli fiscali, ovvero la pratica del ‘China open&close’: il cinepopolo, prima di qualsiasi controllo fiscale, chiude la propria attività nel giro di due anni massimo. Essendo molto dinamico nel mercato, si reinventa con l’apertura di un’altra attività commerciale. Tra i reati maggiori computi dalla mafia cinese vi è il commercio ambulante e la contraffazione dei prodotti, la vera minaccia del made in Italy che porta un giro di falso stimato tra il 2 ed il 7% pari a, secondo il Censis, ad un danno di 5 miliardi di euro.

Punto tre: l’ascesa del mercato cinese è inversamente proporzionale alla morte del piccolo artigiano o alla marcata crisi del settore tessile molisano, lì dove non c’è competitività per i prezzi e neanche per il rapporto qualità/prezzo. Giovanni G. è oggi un pensionatofortunato”, così come si definisce che, ex resposabile di reparto in aziende tessili molisane fino a quando ha vissuto la drammatica fase di limbo – quella dell’esodato – “Quella fase in cui pensi che non c’è un posto per te nel futuro perché sei troppo vecchio per rientrare nel mondo del lavoro ma troppo giovane per la pensione. E questo dramma lo vivi non solo tu, in prima persona, ma tutta la famiglia – nel mio caso i miei due figli e mia moglie – che cercano di non deprimerti ma hanno bisogno di risposte e di soldi per vivere”. Continua il suo racconto “Avevo lavorato per anni per un’azienda tessile di Campochiaro fino a quando, a metà dei 50 anni, ho fatto la scelta della mia vita: o investire il mio futuro in una nuova azienda tessile che credevo fosse un astro nascente oppure continuare a vivere nel precariato della vecchia azienda. Scelsi l’Itam di Bojano, la cui triste storia fallimentare conosciamo tutti e che mi ha portato a non avere, dopo la cassa integrazione, più nulla. Il mercato cinese è stato il colpo di mannaia decisivo per la morte del settore tessile in Molise: noi tingevamo i capi per le migliori marche nazionali come per esempio la Benetton e producevamo tessuti di alta qualità su commissione dei grandi stilisti italiani. E’ logico che i nostri prodotti avevano un costo che non ha nulla a che vedere con i prezzi dell’abbigliamento cinese”.

E così grandi colossi come le nuove Chinatown affossano il vecchio Molise.

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