Il contributo di Sergio Sorella (Cgil): “Il Molise sta perdendo lavoro, popolazione, giovani, alunni e, di conseguenza, speranza e futuro. Noi non ci arrendiamo”
SERGIO SORELLA*
Il Molise sta perdendo lavoro, popolazione, giovani, alunni e di conseguenza la speranza ed il futuro. È, pertanto, sempre più opportuno, approfondire discussioni e formulare proposte che mettano al centro i suoi problemi occupazionali. Stiamo assistendo ad un impoverimento progressivo non soltanto del tessuto industriale e produttivo ma anche ad una frantumazione sociale che, partendo da servizi pubblici sempre più poveri, mette a dura prova le prospettive di ripresa della nostra regione. Occorre muoversi dalla drammaticità dei numeri per analizzare le cause dei problemi e per proporre soluzioni praticabili.
Purtroppo viviamo nel tempo in cui la politica regionale sta dando risposte inadeguate sia come credibilità nei comportamenti, sia per le risposte che prospetta nell’affrontare i gravi problemi esistenti. Gli esempi sono tanti: sistema d’istruzione e di formazione senza prospettive, riforma sanitaria legata a beghe di potere, pubblica amministrazione gestita per la conservazione delle rendite di posizione, sistema agricolo lasciato alla estemporaneità degli interventi, credito e commercio specchio della debolezza della programmazione fatta, sistema viario e dei trasporti allo sbando, crisi dell’edilizia specchio della progettualità pasticciata.
In questo contesto occorrerebbero scelte coraggiose con assunzioni di responsabilità, programmi e proposte che partano dalle oggettive difficoltà, per affrontare le situazioni di crisi. Invece si continua a navigare a vista con posizioni che sembrano le classiche promesse del marinaio, sperando che prima o poi la nottata passi. Purtroppo ciò non accadrà ed il rischio sarà quello di avere, nel giro di qualche decennio, una regione di pensionati.
La recente intesa, denominata con qualche enfasi: Il Molise che non si arrende, tra istituzioni e parti sociali per il lavoro e l’area di crisi nel Distretto Bojano, Isernia, Venafro rischia di andare in quella direzione.
Si tratta di un’intesa che parla di crisi in quest’area attribuendola ai problemi della ITTERRE, della GAM, e del meccanico nel venafrano con un accenno alla crisi edilizia. La soluzione sarebbe nella richiesta dell’area di crisi per avere 200 milioni di euro che garantirebbero prosperità ed occupazione. Come ciò dovrà essere declinato, non è detto. Tuttavia i sottoscrittori dell’intesa si impegnano a comunicare che ci sono questi problemi, che bisogna mobilitarsi per sostenere il confronto con le istituzioni, elaborare studi, partecipare ad una cabina di regia regionale, interessarsi anche delle altre aree della regione.
Verrebbe da dire: la montagna ha partorito il topolino. Di fronte ad una crisi di eccezionale gravità che ha tagliato migliaia di posti di lavoro, che non trova una soluzione praticabile, nonostante i diversi tavoli istituzionali, si sottoscrive un’intesa con il dichiarato obiettivo di documentare e dibattere. Ben poca cosa. Il richiamo alla richiesta di area di crisi è la delibera della Giunta regionale del 29 aprile 2014, n. 163. Abbiamo letto tale delibera ma non vi abbiamo trovato i riferimenti chiari voluti dal legislatore per stabilire un’area di crisi, con la legge 134/2012. Infatti, il legislatore ha previsto nel quadro della strategia europea per la crescita, al fine di sostenere la competitività del sistema produttivo nazionale, l’attrazione di nuovi investimenti nonché la salvaguardia dei livelli occupazionali nei casi di situazioni di crisi industriali complesse con impatto significativo sulla politica industriale nazionale, il Ministero dello sviluppo economico adotta Progetti di riconversione e riqualificazione industriale. Sono situazioni di crisi industriale complessa, quelle riconosciute dal Ministero dello sviluppo economico anche a seguito di istanza della regione interessata, che, riguardano specifici territori soggetti a recessione economica e perdita occupazionale di rilevanza nazionale derivante da: una crisi di una o più imprese di grande o media dimensione con effetti sull’indotto; una grave crisi di uno specifico settore industriale con elevata specializzazione nel territorio.
I Progetti promuovono, investimenti produttivi anche a carattere innovativo, la riqualificazione delle aree interessate, la formazione del capitale umano, la riconversione di aree industriali dismesse, il recupero ambientale e l’efficientamento energetico dei siti e la realizzazione di infrastrutture strettamente funzionali agli interventi.
Per assicurare l’efficacia e la tempestività dell’iniziativa, i Progetti di riconversione e riqualificazione industriale sono adottati mediante appositi accordi di programma che disciplinano gli interventi agevolativi, l’attività integrata e coordinata di amministrazioni centrali, regioni, enti locali e dei soggetti pubblici e privati, le modalità di esecuzione degli interventi e la verifica dello stato di attuazione e del rispetto delle condizioni fissate.
Di tutto questo, però, c’è una flebile traccia nella delibera della Giunta regionale del 29 aprile 2014. In essa si parla di agevolazioni per investimenti innovativi, fondi rotativi per la concessione di prestiti, sistemi di agevolazioni e bonus occupazionali, iniziative per rafforzare la internazionalizzazione delle imprese, percorsi mirati di formazione ed apprendistato. C’è, anche, allegato alla delibera, un lavoro di Sviluppo Molise che fornisce i dati sulla crisi. Ben poca cosa se si vuol chiedere la riconversione industriale di un’area così estesa e complessa com’è quella che va da Bojano a Venafro. Non si possono chiedere genericamente finanziamenti, occorre avere un piano industriale di riconversione del territorio che punti sulle sue potenzialità e sulle sue vocazioni. Tutto ciò è assente. Com’è assente il ruolo che dovrebbe avere il sistema produttivo agricolo fortemente coinvolto nel processo di riconversione, ad esempio della GAM; com’è assente il sistema formativo sia universitario che d’istruzione e di formazione professionale (eppure la legge parla di formazione del capitale umano). Quale dovrebbe essere il destino produttivo di quest’area non è dato sapere. Il tessile può ancora essere un volano per la crescita di un’area interna, oppure occorre orientare altrove la produzione? Il meccanico come si collega con il manifatturiero? L’allevamento e la trasformazione dei suoi prodotti quale futuro ha in regione? Il ruolo del sistema creditizio in questo contesto è stato completamente lasciato da parte.
La crisi è grave ed è profonda. Non sono semplici slogan che possono dare un contributo al suo superamento. Va rivista la politica attiva del lavoro che oggi passa prevalentemente attraverso il finanziamento degli ammortizzatori sociali; vanno create le condizioni socio strutturali per consentire alle attività produttive di poter stabilizzarsi nel nostro territorio. Scelte sbagliate dal punto di vista degli indicatori economici stanno lasciando, anche nel nostro territorio, cattedrali nel deserto che faranno parte di quell’archeologia industriale che avrà solo dilapidato risorse, lasciando problemi e debiti.
Non è la Regione Molise che può risolvere questi problemi complessi. Intanto, non può essere proprietaria di imprese. Essa deve creare le condizioni attrattive di capitale nel territorio, deve incentivare e sollecitare investimenti, dotarsi di un sistema amministrativo agile e capace di dare risposte immediate, deve dotarsi di un moderno sistema di formazione e d’istruzione, un efficiente e razionale sistema sanitario, viario ed infrastrutturale, facilitare l’accesso al credito e dare contributi a chi crea prospettive lavorative di qualità. Insomma deve creare le condizioni perché i privati possano investire.
Anche le parti sociali devono partire dal loro ruolo. Le imprese non possono considerare il nostro territorio terra di conquista, nel quale lucrare rendite di posizione senza impegnare risorse adeguate per l’innovazione e la crescita produttiva ed occupazionale. Per il sindacato è finito il tempo della, pur legittima, rivendicazione. Di fronte a tanta complessità deve ripensare al proprio ruolo. Occorre che faccia proposte di merito, stia nei tavoli negoziali con obiettivi che vadano verso il rilancio produttivo, partendo dalla innovazione dei processi produttivi e dei prodotti finiti, dalla richiesta di investimenti in istruzione, formazione e ricerca; dalla capacità di adeguarsi alla complessità del mercato. Certificare le crisi aziendali con la sottoscrizione di casse integrazioni, senza discutere e fare proposte per il rilancio produttivo, risulta una operazione che, nel lungo periodo, non consentirà di salvaguardare i livelli occupazionali o creare nuove opportunità occupazionali.
Si tratta di una sfida che riguarda tutti. Regione, imprese e sindacati. Oltre le facili promesse c’è il duro lavoro quotidiano per affrontare la realtà con un impegno reciproco, senza aspettare soluzioni esterne salvifiche, Solo così ci sarà la possibilità di affrontare, con un passo nuovo, la grave crisi occupazionale regionale e dare delle prospettive concrete ai giovani.
*Direttivo regionale CGIL Molise