Santa Messa di Natale alla Fondazione ‘Giovanni Paolo II’ con l’Arcivescovo GianCarlo Maria Bregantini
Molto toccante e sentita la Santa Messa di Natale alla Fondazione “Giovanni Paolo II” celebrata da Sua Ecc.za Rev.ma Mons. GianCarlo Maria Bregantini – Arcivescovo Metropolita di Campobasso Bojano. Il presule ha rivolto parole di incoraggiamento, soprattutto ai pazienti che dovranno trascorrere le festività in ospedale. “Viva la Cattolica, Viva la Fondazione…” l’esortazione finale del Pastore che, ancora una volta, conferma l’apprezzamento per il lavoro svolto da tutto il personale. Mario Zappia, Direttore Generale, ha ringraziato Monsignor Bregantini, per la sua vicinanza umana e spirituale.
La Celebrazione Eucaristica Natalizia è un momento cruciale per la Fondazione “Giovanni Paolo II”, è un’occasione da vivere insieme in comunione umana e spirituale. Il Santo Natale, l’incarnazione di Cristo nella storia, costituisce il fondamento dell’ identificazione di Gesù con tutte le situazioni umane di sofferenza e di bisogno (cf Mt 25,31-46: «Io ho avuto fame… ho avuto sete… ero forestiero… ero malato… ero carcerato…») che impegna ogni credente a cercare e riconoscere in qualche modo il suo volto in quello di ogni essere umano, La celebrazione è un momento importante soprattutto per i pazienti ricoverati, che hanno avuto l’occasione di vivere un momento intenso di Comunione fraterna e di preghiera.
Per spiegare il significato di queste celebrazioni e più generale della missione dell’Università Cattolica, non possono esserci parole più efficaci di quelle del fondatore dell’ateneo del Sacro Cuore, Padre Agostino Gemelli, il quale affermava «Per esercitare la medicina, non basta avere la conoscenza dei procedimenti tecnici che occorre impiegare, occorre essere uomini nel senso più pieno della parola, perché le creature che noi curiamo sono esse, alla lor volta, creature umane che hanno bisogno della nostra opera di uomini». E poi osserva: «Noi medici cattolici dobbiamo dare la dimostrazione, con il fatto della testimonianza della nostra vita, della bellezza della fede alla quale noi crediamo; non ci si chiedono né eroismi né affermazioni eccezionali, ma la dimostrazione, al letto dell’ammalato, dalla quale risulta che noi consideriamo la creatura che noi curiamo come creatura di Dio, come un fratello, che curiamo perciò come un fratello che ha bisogno della nostra opera, del nostro zelo».