“La mediocrità politica sta facendo morire la cultura in Molise”, così Michele Paparella racconta la storia della sua libreria
MARIA CRISTINA GIOVANNITTI
La sua era una storica libreria di Campobasso, un gioiellino culturale ed ambizioso per la città e dintorni. ‘La libreria’ in Via Veneto di Michele Paparella, noto libraio, ha pullulato di letteratura, arte, storia, cinema e musica fino a quando, così come ci racconta, “la mediocrità politica locale ha tagliato le gambe alla cultura”. Una scarsa abilità di investire nel settore che per Paparella potrebbe presto ripercuotersi anche sul destino della Biblioteca Provinciale Albino.
Lei è stato il proprietario della più importante libreria di Campobasso che per forza di cose ha dovuto chiudere, perché?
“L’Italia sta scontando insieme ai problemi economici anche quelli culturali di un Paese in cui si legge davvero molto poco per cui le librerie sono state le più colpite immediatamente alla crisi. Gli unici a resistere sono i gruppi editoriali forti come La Feltrinelli o Mondadori i quali hanno contributo a togliere il mercato ai piccoli gruppi di librerie indipendenti che erano l’anima effettiva dell’editoria. Già dal 1995 il mercato economico libraio è andato a calare però comunque avevamo bisogno degli introiti per produrre”.
Com’è nata la sua prima libreria in via Veneto?
“La mia prima libreria in via Veneto è quella che ho rilevato nel 1980 perché la mia ambizione era quella di fare il libraio e il giornalista. I nostri primi eventi sono stati quelli di creare appuntamenti culturali su tutto il territorio, a larga scala. Erano eventi ambiziosi e fiorenti per il Molise di quei tempi: concerti di musica, appuntamenti cinematografici, presentazioni e mostre di libri sull’agricoltura e libri in generale, per esempio abbiamo portato i ragazzi delle scuole medie al Circolo Sannitico dove allestimmo una mostra di circa 2 mila libri. Tra libri di agricoltura, del Molise, di filosofia e tanto altro. Vennero diverse televisioni tra cui la Rai per riprendere, però, solo i libri del Molise a cui mi rifiutai perché era una mostra di tutti i libri, non solo molisani soprattutto perché abbiamo sempre cercato di superare un certo provincialismo. Insomma in un luogo così piccolo siamo riusciti ad organizzare momenti davvero importanti. A noi non interessava invitare personalità altisonante ma creare un circuito culturale – che oggi si chiama rete – di arte, letteratura, storia fatta di persone che venivano in regione dando il loro contributo culturale gratuitamente e senza tornaconto. Erano eventi in economia che davano però ottimi risultati”.
Nessuna personalità di rilievo in Molise vi ha mai proposto aiuti finanziari per evitare la chiusura?
“No assolutamente, in una città così piccola le librerie indipendenti come la mia erano etichettate come “comuniste” per cui questo ci aveva svantaggiato molto nonostante le nostre capacità in un Molise che storicamente è stato filo monarchico e poi democristiano. Insomma una regione che, ancora oggi come allora, vive in un retaggio culturale”.
Cos’ha provato alla notizia della possibile chiusura della Biblioteca Albino?
“E’ una storia che viene da lontano e che del resto non lascia neanche tanto sorpresi. Una Biblioteca Provinciale Albino per Campobasso che è capoluogo di regione, ha l’Università degli Studi del Molise non può non essere considerato come un servizio per gli utenti tra i più importanti. Questo significa che a livello politico non c’è sensibilità verso la cultura ma soprattutto c’è mediocrità politica. In una realtà come questa se la cultura e la scuola non vengono messe al centro vuol dire che non abbiamo le carte per cambiare questa situazione. La biblioteca comunale ha pagato lo scotto di un’ignoranza politica. Nelle biblioteche e negli archivi vengono centinaia di studiosi e ricercatori da fuori e questo significa che anche il turismo ne trae giovamento. Un esempio lampante è la biblioteca di Baranello, ricca di testi e dove si recano a studiare persone anche da fuori del Molise, rappresenta comunque un mondo che si muove verso la nostra regione”.
Quindi Lei rintraccia le cause di questa morìa culturale nella politica?
“Si, nella mediocrità politica ma anche nelle persone. Tutti i politici – indistintamente – vivono in questo stato: Michele Iorio e Frattura, passando per Michele Petraroia fino ad arrivare all’attuale assessore della cultura Nico Ioffredi i quali giudico non per la loro persona ma per l’operato politico. Secondo me se nei posti di rilievo mettessimo persone competenti, cioè che sanno muovere la cultura, il Molise fiorirebbe creando un progetto culturale e turistico ed anche con pochissimi finanziamenti, giusto quelli necessari per pagare le spese di base per dei progetti. Ma la politica non deve far cultura”.
Se dovesse guardare in prospettiva il Molise, come se l’immagina tra 10 anni? “In realtà vedo un futuro negativo e una morte della cultura in regione. Basta girare per Campobasso e ci si rende conto che ci troviamo in una città morta. Abbiamo la Fondazione della Cultura buttata lì e non capiamo a cosa serva, abbiamo la storia della Fondazione Savoia che ha dimostrato l’ennesima mediocrità, ci troviamo ormai una condizione culturale in cui ci sono associazioni di alta qualità ma che si trovano di fronte una classe politica completamente assente perché ignorante. Se la politica non si cimentasse a gestire cultura le cose andrebbero nettamente meglio”.